“Solo se sei pronto a considerare possibile l’impossibile,

sei in grado di scoprire qualcosa di nuovo”.

(Johann Wolfgang Goethe)

“L’importante è avere un pensiero indipendente:

non si deve credere, ma capire”

(Hubert Revees)


“L’Uomo è la specie più folle: venera un Dio invisibile e distrugge una Natura visibile. Senza rendersi conto che la Natura che sta distruggendo è quel Dio che sta venerando”

(Hubert Revees)

domenica 28 giugno 2020

L’ACÒNITO, pianta dai due volti…


di GIORGIO PATTERA

L'Aconito napello (nome scientifico: Aconitum napellus - L.inneo, 1753) è una pianta erbacea della famiglia delle Ranunculaceae, con la sommità del fiore somigliante vagamente (e qui le interpretazioni si sprecano…) ad un elmo antico o al cappello da mago o da gnomo o al cappuccio da monaco.


Fra tutte le piante velenose, è la più tossica e pericolosa (a volte mortale, anche per gli animali) che la flora spontanea italiana annovera tra le zone montagnose di Prealpi ed Alpi, fino a 2.600 m.


E’ una robusta pianta perenne, che resiste bene al freddo e al gelo. Per la portanza (h.120-200 cm.), l’eleganza delle infiorescenze a spiga e lo splendido colore blu-indaco, sono state create varietà orticole, coltivate per ornare i giardini: al contrario dell’antica Roma, in cui ne era vietata la coltivazione, appunto, per la sua velenosità. Le foglie assomigliano a quelle del prezzemolo (altra essenza tossica, ad alte dosi…) e la radice, la parte più pericolosa, è simile a quella del Ràfano. Infatti il nome della specie (napellus) deriva dal latino napus (= navone), in riferimento alla particolare forma della radice, simile ad una rapa (Brassica napus).


Il nome del genere (“Acònitum”), invece, dovrebbe derivare dal greco akòniton (= pianta velenosa), ma due sono le possibili radici che vengono attribuite al nome: (1) akòne (= pietra), in riferimento al suo habitat endemico, povero e roccioso; (2) koné (= uccidere), facendo ovviamente riferimento alla sua tossicità. Ma potrebbe derivare anche dall'uso che se ne faceva in guerra, specie in India: avvelenare le punte di dardi e giavellotti, immergendole nel succo delle radici. La tradizione popolare tramanda che, nei tempi antichi, il succo dell’Aconito veniva usato dai valligiani, mescolato alle esche per attirare volpi e lupi ed avvelenare così i predatori di greggi e pollai. Per questo il nome volgare dei due tipi di aconito (l’altro segue) è Strozzalupo e Vulparia. Nel '500 era conosciuto per la sua presunta efficacia contro la puntura di scorpione ("Herbal or General History of Plants" - Londra 1597).



Le piante di Aconito assumevano nella mitologia dei popoli mediterranei un significato simbolico negativo o malefico: di furberia, falsa sicurezza, vendetta e amore colpevole. La pianta infatti risulta conosciuta per la sua pericolosità fin dai tempi di Omero e la sua alta tossicità era ben presente agli antichi, se ancora Plinio la cita come "arsenico vegetale". Si racconta che nell'isola di Ceo gli antichi Greci si liberavano dei vecchi ammalati, considerati un peso inutile per la Polis, costringendoli a bere un infuso di Acònito; la qual cosa ci ricorda un certo Socrate…



Il binomio scientifico attualmente accettato (Acònitum napellus) è stato proposto da Carl von Linné (italianizzato in Linneo, 1707 – 1778), biologo e scrittore svedese, considerato il padre della moderna classificazione scientifica degli organismi viventi, nella pubblicazione “Species plantarum” del 1753.
  
Cosa contiene l’Acònito di tanto velenoso?

In tutta la pianta, nei semi, soprattutto nelle radici (e nelle foglie prima della fioritura) si riscontrano numerosi alcaloidi terpenici, principalmente l’ACONITINA, che persistono anche dopo essiccazione: si calcola che l’aconitina sia presente, soprattutto nell’apparato radicale, in ragione del 1–3%. La Medicina Veterinaria registra, purtroppo, numerosi casi di avvelenamento, soprattutto a carico di bovini, ovini e caprini che accidentalmente vengano alimentati con foraggi contenenti piante di acònito. La dose letale per l’uomo è di appena 3-8 milligrammi; i sintomi principali sono: torpore, seguito da paralisi delle estremità inferiori e poi superiori, sensazione di freddo, sudore, vomito, grave affaticamento ed ansia, mentre la mente rimane lucida e la vittima rimane pienamente cosciente fino all’exitus. Il respiro diventa difficile, il polso lento, irregolare, debole. La morte giunge all’improvviso, per insufficienza respiratoria e cardiaca. Ma sono stati segnalati fenomeni irritativi locali (prurito, eritema bolloso e torpore, con principio di intossicazione) anche solo toccando con le mani gli steli di queste piante, nel malaugurato tentativo di coglierne le vistose ed accattivanti infiorescenze, in quanto anche attraverso la pelle possono essere assorbiti i principi attivi velenosi dell’aconitina.


L’ACONITINA “CUM GRANO SALIS”

Ma come succede in Natura, ogni cosa ha due volti… ed allora ecco che scopriamo come l’Uomo, fin dall’antichità, ha imparato ad ottenere risultati positivi anche dalle essenze pericolose: è solo un problema di “dosi”…
L’Aconitina estratta dalle radici viene a volte impiegata nei farmaci, in dosi terapeutiche minime, da utilizzarsi in gravi forme di nevralgia, ad esempio contro quella del trigemino. Nella medicina ayurvedica è usato per trattare asma ed affaticamento cardiaco, mentre in omeopatia trova impiego come analgesico e sedativo. Ricerche condotte in Cina indicano che è d’aiuto nell’insufficienza cardiaca congestizia, per sostenere il sistema circolatorio nelle emergenze: in dosi opportune, ovviamente…


L'Acònitum lycoctonum

Parente stretto del napellus, l’Acònitum lycoctonum presenta anch’esso la sommità del fiore, d’un bel colore giallo-limone, allungata e tuboliforme, a foggia di elmo antico, da cui il mitologico appellativo di “Elmo di Giove”. Il termine scientifico della specie (lycoctonum) deriva sempre dal greco, dalla parola lycos (= lupo) e da cthon (= uccidere) e significa quindi “uccisore di lupi”; la qual cosa fa il paio col nome di un'altra specie di Aconito, l'Aconitum lupicida, che riprende in latino lo stesso significato. Se ne contano varie sottospecie, tra le quali la più diffusa in Italia è la Vulparia, volgarmente chiamata anche “strozzalupo” o “erba della volpe”. Questi appellativi nascono da "lupata" o lupaia: tale denominazione può essere derivata dalla convinzione popolare che questa pianta fosse usata come cibo-esca per catturare i lupi.

                                     



L'A.vulparia non contiene aconitina, che come abbiamo visto è uno dei più potenti veleni che si conoscano al mondo (sono letali anche meno di 6 milligrammi di questa sostanza), ma presenta molecole molto simili (alcaloidi e glucosidi, altrettanto pericolosi), come la licaconitina e la mioctonina. Entrambe queste sostanze sono estratte dalle radici, che contengono una concentrazione dei principi attivi dieci volte maggiore rispetto alle foglie. Si attribuiscono loro le stesse proprietà analgesiche, calmanti e sedative delle altre specie del genere Acònitum, ma devono essere utilizzate SOLO su stretto controllo medico. Nella medicina popolare le proprietà delle radici, opportunamente essiccate, venivano usate come rimedio antinfiammatorio (combattono uno stato di flogosi), antireumatico (attenuano i dolori dovuti alla rigidità delle articolazioni), vermifugo (eliminano i vermi intestinali), diaforetico (agevolano la traspirazione cutanea) e analgesico (attenuano il dolore in generale).


                                                                      CURIOSITA'


Nelle credenze popolari l'Acònito, al pari dell'aglio, può essere usato per tenere lontani i vampiri (come nel film Dracula) e i licantropi; non a caso viene spesso nominato nella serie tv “The Vampire Diaries”.

Harry Potter non conosceva la differenza fra acònito e vulparia durante la sua prima lezione di pozioni con Piton.



Riferimenti:

P.M.North – PIANTE VELENOSE – The Pharmaceutical Society of Great Britain / 1967
M.I.Macioti – MITI E MAGIE DELLE ERBE – Newton Compton / Roma, 1993
A.Chevallier – ENCICLOPEDIA DELLE PIANTE MEDICINALI – Idea Libri / Milano, 1997
F.Stary – PIANTE VELENOSE – Istituto Geografico De Agostini / Novara, 1987


UN “CAPPELLO” INQUIETANTE…

di GIORGIO PATTERA   Il quotidiano “ LA GAZZETTA DI PARMA ” del 15 gennaio 1990 postava un breve ma intrigante trafiletto (integralmente r...