di Giorgio Pattera
La
Digitale rossa (Digitalis purpurea, fam. Scrophulariaceae) è una pianta nota
fin dall’antichità, ma le sue proprietà farmacologiche e terapeutiche sono
state studiate solo a partire dalla seconda metà del diciottesimo secolo. Fu
descritta per la prima volta dal botanico bavarese Leonhard Fuchs (1501-1566),
ma solo nel 1773 Withering ne sperimenta sull’uomo le proprietà TONICARDIACHE
(rallentamento, regolarizzazione e rinforzo delle contrazioni).
Fra i numerosi
principi attivi contenuti in questa preziosissima pianta ricordiamo (oltre ai
glucosidi digitoxina, digitonina, ecc.)
la DIGITALINA,
sostanza cardioattiva cristallizzata da Nativelle nel 1868.
Il Genere cui appartiene (Digitalis) deve il nome alla forma dei
fiori, che ricordano la forma d’un ditale, mentre il nome della specie (purpurea) alla colorazione rossa degli
stessi. Viene anche coltivata nei giardini a scopo ornamentale, nelle varietà
bianca, rosa e gialla, tutte dai notevolissimi toni decorativi. Per questo è
molto diffusa e a volte si rinvengono piantine isolate, “sfuggite” ai giardini.
E’ tuttavia una pianta abbastanza esigente come terreno, in quanto non cresce
su suolo calcareo: viene perciò chiamata “calcìfuga”.
E’
un’essenza biennale, cioè al primo anno emette solo le foglie basali, mentre al
secondo fiorisce con delle grandi “spighe” di fiori simili a campanelle e tutti
rivolti da una parte.
La “fauce”
del fiore si presenta finemente punteggiata di macchioline scure; queste sono
ereditarie, non però il disegno che esse formano: nessun petalo, quindi,
assomiglia esattamente all’altro. Queste macchie sono dovute alla formazione di
sostanze coloranti poco solubili in cellule contigue, secondo lo stesso
principio con cui si formano i fiori di ghiaccio sulle finestre.
La
digitale rossa, come abbiamo già detto, è una pianta molto importante per la
cura delle affezioni cardiache e per questo il suo impiego è riservato al
personale medico, così come i suoi preparati o estratti sono appannaggio delle
industrie chimico-farmaceutiche.
I
principi attivi che rendono preziosa questa piantina, infatti, sono
estremamente pericolosi e, se maneggiati da mani inesperte, possono facilmente
provocare sintomi di grave avvelenamento.
Ancor
oggi rimane uno dei migliori medicamenti per le malattie scompensate a carico
del muscolo cardiaco, in quanto agisce come vigoroso attivatore della forza di
contrazione del cuore, riducendone ad un tempo il numero delle pulsazioni.
Rende più ampi i movimenti di aspirazione (diastole)
e più energici quelli di contrazione (sistole), per cui la circolazione
sanguigna diviene più veloce e più robusta e le pulsazioni meno precipitose e
quindi meno logoranti per un cuore affaticato. L’uso della pianta o dei suoi
estratti in dosi eccessive o troppo prolungate si trasforma in avvelenamento,
perché i principi attivi non vengono eliminati velocemente dall’organismo. Si
forma quindi il fenomeno detto di “accumulo”, in seguito al quale si viene a
trovare nell’organismo una quantità di sostanza che dà luogo
all’intossicazione: va ricordato infatti che la dose attiva e quella velenosa
sono molto vicine. Oltre a questo tipo di avvelenamento, che possiamo chiamare
“cronico”, l’impiego di dosi eccessive di preparati di Digitale anche in un’unica
somministrazione può dar luogo ad avvelenamento acuto, con sintomi a carico
dell’apparato digerente, circolatorio, respiratorio e nervoso, fino a giungere
al coma ed all’exitus finale.
Alla
luce di queste considerazioni, si comprende come questa benefica piantina possa
con facilità trasformarsi in strumento fatale ed il perché il suo impiego debba
essere riservato a persone altamente qualificate, limitando il nostro interesse
alla sua coltivazione a scopi ornamentali, ma anche al rispetto delle piantine
incontrate durante le scampagnate e le gite domenicali, astenendoci dal
raccoglierla: la sua bellezza, nelle nostre case, svanirebbe in poche ore…
Una
curiosità: La Digitale
purpurea è una celebre poesia di Giovanni Pascoli, basata sul
racconto della sorella Maria, relativo alla presenza di questa specie vegetale
presso l'istituto di suore che la ospitava, a Sogliano sul Rubicone.
Per
approfondimenti: