coll’aria pungente che odora
di legna,
m’è
caro veder, di casa all’interno,
che fuori la Vita il passo
non segna...
Ritte
le braccia, che ormai sono ignude,
supplice un arbro al cielo
suo tende :
ricordo
i suoi fiori, de’ rami virtude,
che il gelo or muta in
còccole bionde.
Pettirosso,
fringuello e la gazza giuliva
fan coro d’intorno al
frutto succoso ;
persino
la cincia, ch’è sempre più schiva,
mi vuol ringraziare col
suon melodioso.
E
poi battibecchi e trilli affannati :
famiglie di passeri, tra
loro in combutta,
la
festa continuano intorno ai miei cachi ;
fino a ridurre la pianta... distrutta !
Allora
io penso : Qualcuno ha ragione,
se dice che l’Uomo
s’affanna per nulla :
ai
semplici e ai saggi non manca Stagione
che serbi ai suoi figli
del cibo e una culla.
Flessibili
rami infatti fan gioco
a vispi uccelletti che si
fan dispetto ;
a
balzi e saltelli rincorron l’ignoto
e garruli stridono :
<< Grazie, Folletto ! >>.