di GIORGIO PATTERA
<<...Da
Berceto, a sedici stadij distante verso Aquilone, è un luogo, dove sovente si
veggono uscire lampi di fuoco, & fiamme, che ne per acqua, ne per venti
all’hora s’estinguono, ma vanno crescendo maggiormente sempre, ne più oltre
s’estendono d’un piccolo circuito, & la terra vi è simile al cenere, &
è così combustibile, che avvicinandosi in fuoco, immanente s’accende, ne
ardendo, ne estenta poi lascia odore alcuno. Quel luogo chiamano gli habitatori
del paese Boinferno; come che, secondo loro, quivi bolla l’Inferno...>>
Ma ai
giorni nostri, per rivivere una cronaca siffatta, non è indispensabile
consultare gli antichi annali custoditi nella Biblioteca Palatina: basta
entrare di soppiatto, per non turbare quell’atmosfera magica che ovatta la Val
Cedra, in una fumosa osteria di Palanzano e, confusi tra gli avventori più
fedeli, che contano gli anni con le rughe del viso, ascoltare i ricordi di tempi
che furono. Il tutto intercalato fra il biascicare d’un eterno “mezzo toscano”
rigorosamente spento ed il lento sorseggiare d’un bicchiere di rosso,
ugualmente aspro.
Il
“reame” di cui si parla in quei <<C’era una volta...>> è
quello di Caneto, sul Monte Caio. La zona è famosa per il fatto che qui la neve
non si ferma mai, le viole sbocciano poco dopo Natale e vi si coltivava la vite
fino a quando l’emigrazione ed il conseguente, progressivo spopolamento (male
cronico della nostra montagna) non ha ridotto il luogo quasi disabitato. In
questo recondito lembo di natura incontaminata, dal clima mite e sempre esposto
al sole, vivono indisturbati caprioli, volpi, cinghiali, varie specie di
rettili e falchi, immersi nel silenzio delle faggete secolari, dei boschi di
leccio, delle siepi di Prunus spinosa
e degli arbusti di odoroso ginepro. E come tutti i luoghi incantati, anche
Caneto nasconde gelosamente un misterioso segreto, in quella zona sopra
l’abitato meglio nota come “I Corni”. Quest’ultimo termine, assai poco
romantico in verità, deve la propria origine al fatto che il territorio,
costituito da rocce calcaree, presenta alcune formazioni carsiche che, in scala
ridotta, ricordano alla lontana quelli del Carso triestino. Si tratta delle doline,
cioè di rocce variamente modellate dagli agenti atmosferici e incavate
dall’azione delle acque meteoriche. E, come nel Carso, quello vero, non manca
il corso d’acqua che ne scaturisce: il torrente Bardea, affluente dell’Enza. Il
“mistero” in questione è di quelli già segnalati dal Bonaventura Angeli e che
la Geologia, senza scomodare Henry Potter, l’odierno Mago Merlino, definisce
“affioramenti di idrocarburi”. Questi, essendo più leggeri delle rocce tra le
quali sono racchiusi, tendono per legge fisica a risalire verso l’alto. La
migrazione in senso verticale risulta facilitata allorché le rocce soprastanti
siano fratturate o disposte a “faglie” o comunque permeabili: è proprio questo
il caso più frequente nel territorio parmense, in cui si distinguono terreni
montagnosi assai tormentati da movimenti tettonici. E proprio da una di queste
fenditure, di queste profonde “ferite” che le ingiurie delle ere geologiche
hanno inflitto alla Terra, situata alla base di uno dei “corni” di Caneto,
scaturiva il metano, quel gas infiammabile (tristemente noto ai minatori) che,
una volta incendiato da un fulmine o da una scintilla di falò portata dal vento
o dal buontempone di turno, che amava farsi passare per “mago”, veniva
interpretato nel contesto culturale dei secoli passati come “il respiro del
diavolo” o “la porta sull’aldilà” o “il bollore dell’inferno”, per dirla come
ai tempi dello storico ferrarese. Tutte interpretazioni che sono confluite, in
tempi più recenti, in un’unica, meno allegorica ma pur sempre iperbolica
definizione: “il vulcano del Monte Caio”.
Eppure
queste manifestazioni superficiali di idrocarburi sono relativamente frequenti
nel territorio parmense e sembrano far parte di due distinti corrugamenti “a
cupola”, che si snodano rispettivamente sulla dorsale appenninica e su quella
collinare. Partendo dalla Val Baganza (località Case Armaz, tra Berceto e
Castellonchio, cui fa riferimento il Cronista alla fine del ‘500), si prosegue
per la Val Parma (località Revidulano, tra Ghiare di Corniglio e Petrignacola,
attiva sicuramente fino agli anni ‘70), la Val Termina (Torre di Traversetolo,
autentica “palestra” per gli studenti di Scienze della Terra, già nota dal 1614
al medico Girolamo Zunti, descritta dallo Strobel nel 1881 e ripresa nel 1915
dal geologo Mario Anelli; Rivalta di Lesignano, citata dal Molossi nel “Vocabolario topografico dei Ducati di
Parma, Piacenza e Guastalla”), fino ad uscire dal territorio provinciale
oltre Val d’Enza. Tutti questi affioramenti, prove inconfutabili di un’attività
magmatica profonda ancora insistente, vanno in gergo popolare sotto
l’appellativo di Barboj (termine onomatopeico:
Barbogli = gorgogli, borbottii che accompagnano la fuoriuscita di gas
metaniferi, sprigionati dal sottosuolo), ma secondo le ancestrali leggende
tramandate a voce da generazioni si riconduce il fenomeno a “storie di maghi
che accendono i fornelli sotto la terra e di tanto in tanto rapiscono qualche
malcapitato ed imprudente visitatore…”.
Un’ultima
considerazione: Caneto, in linea d’aria (o meglio, in questo caso, in linea sotterranea),
non è lontanissimo dalle grotte di Sassalbo, anch’esse fenomeno pseudo-carsico
insito nelle pendici del Monte Alto, appena al di là dello spartiacque del
Valico del Cerreto, che tante sorprese e tanto clamore hanno suscitato nell’estate
del 2001 (cfr. in U.A.P.). E se volessimo lasciarci
andare alla fantasia, la stessa del grande Jules Verne nel “Viaggio al centro della Terra”,
anche oggi il mistero potrebbe continuare...
Approfondimenti:
Appendice:
I “vulcanelli di fango” (termine
tecnico ufficiale) sono vulcani in miniatura, ma naturalmente con molte
differenze rispetto ai vulcani veri e propri. A provocarli è la risalita di gas
(in molti casi si tratta di metano) ed acqua dal sottosuolo: nel momento in cui
l'acqua attraversa zone ricche di argilla, questa diventa 'plastica'. Si forma
così un materiale fluido, che gradualmente viene portato verso la superficie
dalla costante risalita dei gas e continua ad accumularsi, fino al punto in cui
la pressione dei gas non diventa tale da provocare una sorta di 'eruzione'. Un
“ribaltamento” che può produrre emissioni di fango capaci di raggiungere, in
alcuni casi, un'altezza compresa fra 10 e 25 metri. Famosi sono quelli del
Parco americano di Yellowstone, nel Wyoming.