“Solo se sei pronto a considerare possibile l’impossibile,

sei in grado di scoprire qualcosa di nuovo”.

(Johann Wolfgang Goethe)

“L’importante è avere un pensiero indipendente:

non si deve credere, ma capire”

(Hubert Revees)


“L’Uomo è la specie più folle: venera un Dio invisibile e distrugge una Natura visibile. Senza rendersi conto che la Natura che sta distruggendo è quel Dio che sta venerando”

(Hubert Revees)

domenica 7 giugno 2020

IL “VULCANO” DI CANETO




di GIORGIO PATTERA

<<...Da Berceto, a sedici stadij distante verso Aquilone, è un luogo, dove sovente si veggono uscire lampi di fuoco, & fiamme, che ne per acqua, ne per venti all’hora s’estinguono, ma vanno crescendo maggiormente sempre, ne più oltre s’estendono d’un piccolo circuito, & la terra vi è simile al cenere, & è così combustibile, che avvicinandosi in fuoco, immanente s’accende, ne ardendo, ne estenta poi lascia odore alcuno. Quel luogo chiamano gli habitatori del paese Boinferno; come che, secondo loro, quivi bolla l’Inferno...>>


 Così recita il Bonaventura Angeli nell’ <<Historia della Città di Parma>> del 1591.

Ma ai giorni nostri, per rivivere una cronaca siffatta, non è indispensabile consultare gli antichi annali custoditi nella Biblioteca Palatina: basta entrare di soppiatto, per non turbare quell’atmosfera magica che ovatta la Val Cedra, in una fumosa osteria di Palanzano e, confusi tra gli avventori più fedeli, che contano gli anni con le rughe del viso, ascoltare i ricordi di tempi che furono. Il tutto intercalato fra il biascicare d’un eterno “mezzo toscano” rigorosamente spento ed il lento sorseggiare d’un bicchiere di rosso, ugualmente aspro.


Il “reame” di cui si parla in quei <<C’era una volta...>> è quello di Caneto, sul Monte Caio. La zona è famosa per il fatto che qui la neve non si ferma mai, le viole sbocciano poco dopo Natale e vi si coltivava la vite fino a quando l’emigrazione ed il conseguente, progressivo spopolamento (male cronico della nostra montagna) non ha ridotto il luogo quasi disabitato. In questo recondito lembo di natura incontaminata, dal clima mite e sempre esposto al sole, vivono indisturbati caprioli, volpi, cinghiali, varie specie di rettili e falchi, immersi nel silenzio delle faggete secolari, dei boschi di leccio, delle siepi di Prunus spinosa e degli arbusti di odoroso ginepro. E come tutti i luoghi incantati, anche Caneto nasconde gelosamente un misterioso segreto, in quella zona sopra l’abitato meglio nota come “I Corni”. Quest’ultimo termine, assai poco romantico in verità, deve la propria origine al fatto che il territorio, costituito da rocce calcaree, presenta alcune formazioni carsiche che, in scala ridotta, ricordano alla lontana quelli del Carso triestino. Si tratta delle doline, cioè di rocce variamente modellate dagli agenti atmosferici e incavate dall’azione delle acque meteoriche. E, come nel Carso, quello vero, non manca il corso d’acqua che ne scaturisce: il torrente Bardea, affluente dell’Enza. Il “mistero” in questione è di quelli già segnalati dal Bonaventura Angeli e che la Geologia, senza scomodare Henry Potter, l’odierno Mago Merlino, definisce “affioramenti di idrocarburi”. Questi, essendo più leggeri delle rocce tra le quali sono racchiusi, tendono per legge fisica a risalire verso l’alto. La migrazione in senso verticale risulta facilitata allorché le rocce soprastanti siano fratturate o disposte a “faglie” o comunque permeabili: è proprio questo il caso più frequente nel territorio parmense, in cui si distinguono terreni montagnosi assai tormentati da movimenti tettonici. E proprio da una di queste fenditure, di queste profonde “ferite” che le ingiurie delle ere geologiche hanno inflitto alla Terra, situata alla base di uno dei “corni” di Caneto, scaturiva il metano, quel gas infiammabile (tristemente noto ai minatori) che, una volta incendiato da un fulmine o da una scintilla di falò portata dal vento o dal buontempone di turno, che amava farsi passare per “mago”, veniva interpretato nel contesto culturale dei secoli passati come “il respiro del diavolo” o “la porta sull’aldilà” o “il bollore dell’inferno”, per dirla come ai tempi dello storico ferrarese. Tutte interpretazioni che sono confluite, in tempi più recenti, in un’unica, meno allegorica ma pur sempre iperbolica definizione: “il vulcano del Monte Caio”.



Eppure queste manifestazioni superficiali di idrocarburi sono relativamente frequenti nel territorio parmense e sembrano far parte di due distinti corrugamenti “a cupola”, che si snodano rispettivamente sulla dorsale appenninica e su quella collinare. Partendo dalla Val Baganza (località Case Armaz, tra Berceto e Castellonchio, cui fa riferimento il Cronista alla fine del ‘500), si prosegue per la Val Parma (località Revidulano, tra Ghiare di Corniglio e Petrignacola, attiva sicuramente fino agli anni ‘70), la Val Termina (Torre di Traversetolo, autentica “palestra” per gli studenti di Scienze della Terra, già nota dal 1614 al medico Girolamo Zunti, descritta dallo Strobel nel 1881 e ripresa nel 1915 dal geologo Mario Anelli; Rivalta di Lesignano, citata dal Molossi nel “Vocabolario topografico dei Ducati di Parma, Piacenza e Guastalla”), fino ad uscire dal territorio provinciale oltre Val d’Enza. Tutti questi affioramenti, prove inconfutabili di un’attività magmatica profonda ancora insistente, vanno in gergo popolare sotto l’appellativo di Barboj (termine onomatopeico: Barbogli = gorgogli, borbottii che accompagnano la fuoriuscita di gas metaniferi, sprigionati dal sottosuolo), ma secondo le ancestrali leggende tramandate a voce da generazioni si riconduce il fenomeno a “storie di maghi che accendono i fornelli sotto la terra e di tanto in tanto rapiscono qualche malcapitato ed imprudente visitatore…”.         

Un’ultima considerazione: Caneto, in linea d’aria (o meglio, in questo caso, in linea sotterranea), non è lontanissimo dalle grotte di Sassalbo, anch’esse fenomeno pseudo-carsico insito nelle pendici del Monte Alto, appena al di là dello spartiacque del Valico del Cerreto, che tante sorprese e tanto clamore hanno suscitato nell’estate del 2001 (cfr. in U.A.P.). E se volessimo lasciarci andare alla fantasia, la stessa del grande Jules Verne nel “Viaggio al centro della Terra”, anche oggi il mistero potrebbe continuare...  
 

Approfondimenti:



Appendice:


I “vulcanelli di fango” (termine tecnico ufficiale) sono vulcani in miniatura, ma naturalmente con molte differenze rispetto ai vulcani veri e propri. A provocarli è la risalita di gas (in molti casi si tratta di metano) ed acqua dal sottosuolo: nel momento in cui l'acqua attraversa zone ricche di argilla, questa diventa 'plastica'. Si forma così un materiale fluido, che gradualmente viene portato verso la superficie dalla costante risalita dei gas e continua ad accumularsi, fino al punto in cui la pressione dei gas non diventa tale da provocare una sorta di 'eruzione'. Un “ribaltamento” che può produrre emissioni di fango capaci di raggiungere, in alcuni casi, un'altezza compresa fra 10 e 25 metri. Famosi sono quelli del Parco americano di Yellowstone, nel Wyoming.



UN “CAPPELLO” INQUIETANTE…

di GIORGIO PATTERA   Il quotidiano “ LA GAZZETTA DI PARMA ” del 15 gennaio 1990 postava un breve ma intrigante trafiletto (integralmente r...