di GIORGIO PATTERA
Berceto, noto centro di villeggiatura estiva, è un grazioso paese dell’Appennino parmense, situato a 852 m. sl/m, lungo quell’antico percorso, carico di storia e di cultura, che va sotto il nome di “STRADA ROMEA”.
Quest’ultima
rappresentava, nella civiltà dell’Occidente medievale, un itinerario di
fondamentale importanza dal punto di vista sociale, politico ed economico,
nonché la più significativa via di comunicazione terrestre fra il nord Europa e
le mete predilette da pellegrini e penitenti, in cerca dell’indulgenza papale.
Attraverso
il Monginevro e il Moncenisio, il Gran S.Bernardo e il Brennero, i “VIATORES”,
inconfondibili nel cappello a larga tesa, nell’emblema con la conchiglia di
S.Giacomo, la mantellina sulle spalle, borraccia e tascapane in cintola, la
croce votiva, le sette chiavi delle Basiliche romane, il lasciapassare
episcopale e l’immancabile “bordone” stretto in pugno, scendevano nella pianura
padana diretti, per l’appunto, a Roma. Molti proseguivano fino a S.Michele sul
Gargano, uno dei tradizionali porti pugliesi dai quali imbarcarsi per la
Terrasanta.
Il
toponimo BERCETO sembra derivare dal
latino “QUERCETUM” (= querceto, località ricca di querce), anche se la
trasformazione di qu in b risulta piuttosto rara.
Altra ipotesi vuole che il medievale Bercetum derivi da “BERUSETI”,
citato nella “Tabula Alimentaria” di età traianea (II sec.d.C.) scoperta a
Velleia, nel piacentino.
Questo
rilevante centro montano, già noto in epoca romana, vive nell’alto Medioevo
complesse vicende politiche e religiose, che ne fanno un importante borgo
strategico, oggetto di costanti opere di fortificazione. Agli inizi dell’ottavo
secolo, come ci tramanda Paolo Diacono nell’ “Historia Langobardorum”, il re
Liutprando, per ringraziare Dio della vittoria riportata sui suoi nemici, fa
dono della locale abbazia a Moderanno, vescovo di Rennes. Questi, mentre si
trova in viaggio per consegnare le reliquie di San Remigio a Roma, è protagonista
di un miracolo nei pressi del Monte Bardone (Mons Langobardorum): sul fondo di
un’ardua costa, che ancor oggi porta il nome di “Ripa Santa”, fa scaturire una
fonte d’acqua purissima, tutt’ora molto apprezzata dagli abitanti del
circondario.
E’
sempre Moderanno a farsi artefice dello sviluppo e dell’ampliamento del
complesso monastico bercetese, ove termina la sua esistenza terrena nell’anno
730; in seguito verrà canonizzato per volontà popolare.
Delle antiche strutture abbaziali resta
solo la Pieve (oggi Duomo), calata nel mezzo delle vecchie case in pietra, a
ricordo di quella vetusta atmosfera in cui la Chiesa era il centro della vita
quotidiana ed il luogo di convegno dei pellegrini. L’edificio è stato
ampiamente rimaneggiato in varie epoche, a causa dei danni provocati da guerre
e terremoti (l’ultimo risale al 1983), ma conserva ugualmente importanti
testimonianze del periodo romanico, unitamente a simbologie del tutto
particolari. Osservando la pianta della
Chiesa, ad esempio, balza subito all’occhio una curiosità: l’andamento del Coro
non è in asse con la navata, ma risulta inclinato verso nord. E’ tradizione che
ciò voglia raffigurare l’«inclinato capite» (Joan. XIX, 30) di
Gesù al momento di spirare; particolare, questo, ripetuto in altri templi di
epoca romanica.
Ciò che
maggiormente desta interesse è tuttavia il portale centrale, sovrastato da una
lunetta raffigurante la Crocifissione, nel momento in cui il legionario romano
Longino trapassa con un colpo di lancia il costato di Cristo, mentre un
fanciullo raccoglie in una coppa il sangue che ne sgorga. Nell’architrave
sottostante sono scolpite figure umane e campeggia
inoltre un misterioso “bestiario”, di squisito gusto pre-antelamico (il
“Magister Benedictus”), i cui simboli arcani sembrano sfuggire ad
ogni possibile interpretazione.
Tra le varie ipotesi, tutt’ora in discussione, quella
più attendibile sembra individuare, nelle fantastiche raffigurazioni
animalesche, la simbologia dei principali vizi umani: i “sette vizi capitali”
(o i “falsi profeti”?), insieme con l’eresia, simboleggiata al centro dall’asino
che suona la cetra = “l’asino musicante”. La lettura
tuttavia non è semplice, in quanto la sensibilità a decifrare una simbologia di
tal genere è venuta meno nella cultura moderna.
Il
fardello del peccato viene reso con una serie di figure, ricavate nell’arenaria
dell’architrave: partendo da sx, si nota un GRIFO (che rappresenta L’AVARIZIA);
poi la LONZA (è il simbolo della LUSSURIA); viene ancora quello dell’INVIDIA e
di seguito quello della SUPERBIA e dell’IRA; da ultime sono raffigurate l’ACCIDIA
e la GOLA.
Le
cariatidi poste a sostegno dell’architrave raffigurano con efficacia lo sforzo
dell’Uomo nella fatica ed il suo abbandono nel dolore. Da notare, scolpita
sulle colonne prossimali al portale, una duplice iconografia che sottende un
profondo significato allegorico. A sx il serpente, simbolo del peccato per la
Cristianità, vuol indicare la condizione del penitente al momento del suo
ingresso nell’ “ecclesìa” (= assemblea), mentre a dx la fiaccola, emblema della
luce derivante dalla Grazia divina, accompagna il Cristiano dall’uscita del
Tempio fino al ricongiungimento con Dio. In altre parole: “Entri per pregare,
esci per amare”.
Concludiamo
questa breve descrizione di una delle più significative espressioni dell’arte
romanica della provincia di Parma con l’auspicio che il Duomo di Berceto possa
continuare a rendere imperitura testimonianza di un evento straordinario:
l’incontro fra un Vescovo pellegrino ed un Re vincitore.
BIBLIOGRAFIA
Bertozzi Don Giuseppe - BERCETO E IL
SUO DUOMO - Edit.Tipogr.Benedettina - Parma, 1993
Vittorio Innocenti Gabrielli - “Berceto
sulla strada dei pellegrinaggi”, in <<PER LA VAL BAGANZA>>
Tipolitotecnica Edit. - Sala B., 1991
Borelli Dr.Paolo - MONTE BARDONE: sulla
via dei Pellegrini - Tecnografica (PR)
Basteri Maria Cristina - LA VIA
FRANCIGENA nel territorio parmense - PPS Edit. - Parma, 1996