di GIORGIO PATTERA
Nel parco fluviale regionale del
Taro si può osservare quasi la metà delle specie di uccelli presenti in Italia
e buona parte del territorio su cui si estende è stata censita dall’I.C.B.P.
(International Council for Bird Protection) come << area d’importanza
europea per la vita degli uccelli selvatici >>.
Lungo il percorso del fiume,
infatti, s’incontra una serie d’ambienti assai diversi, le cosiddette <<
nicchie ecologiche >>, quali greto e sponde, prati aridi e cespuglieti,
boschi ripariali e zone umide interne, tutti ugualmente idonei a fungere da
luogo di rifugio e riproduzione per numerose specie d’avifauna.
In aprile-maggio, di ritorno dai
quartieri di svernamento africani, gruppi di Topini (in numero variabile, da
qualche decina a qualche centinaio di coppie) si insediano sulle pareti
sabbiose della riva destra del Taro, scavando gallerie lunghe a volte anche più
d’un metro, al termine delle quali, in una piccola camera, la femmina depone le
uova su una “coppa” costituita di materiale vegetale, crini e piume. Il Topino
(nome scientifico: Riparia riparia; dal latino ripa = riva, per il particolare
tipo di nidificazione), dotato di eccezionali capacità d’orientamento, somiglia
alla Rondine, da cui differisce per le minori dimensioni, il piumaggio bruno-grigio
ed una banda bruna sul petto.
E’ una specie molto gregaria e,
come le Rondini domestiche, si nutre d’insetti che cattura in volo. Di solito
le pareti sabbiose nidificate dalle colonie appaiono letteralmente “crivellate”
da un numero di fori più che doppio rispetto a quello delle coppie realmente
insediate: questo perché, durante lo scavo, molte gallerie vengono abbandonate
in quanto franose. L’instabilità delle pareti sabbiose, infatti, costringe
spesso il Topino a mutare “appartamento” da un anno all’altro e la progressiva
scomparsa di queste pareti, nel tratto del fiume compreso fra Madregolo e Ponte
Taro, causa le copiose esondazioni degli ultimi tempi, ha costretto sempre più
questa specie a nidificare nei cumuli di sabbia attigui ai frantoi di pietrisco
o nelle cave, che (nota dolente!) ancora insistono nel comprensorio.
A questi fattori di disturbo per
la nidificazione dei Topini si aggiungono, purtroppo, le attività umane
(coltivazione del frumento fino a pochi metri dalla scarpata, con accentuazione
del pericolo di frana del costone sotto il peso delle macchine agricole) e
l’impiego sconsiderato, nonostante l’esplicito divieto esistente in tutto il
territorio del Parco, di mezzi fuoristrada (moto da trial e/o da cross), che
prediligono (manco a farlo apposta!) il sentiero che corre lungo la riva
interessata dalla nidificazione. Il frastuono di questi mezzi a motore,
l’emissione dei gas di scarico e le vibrazioni che si propagano nel sottosuolo
al loro passaggio non costituiscono certo un invito al ritorno di questa
particolare specie di rondine…
L’ecosistema fluviale del Taro,
quindi, merita tutta la nostra attenzione, sia come amministratori pubblici sia
come semplici cittadini, nell’ottica di preservare questa fondamentale
emergenza naturalistica della nostra provincia dall’impoverimento e dal degrado
ambientale, conseguenze ineluttabili d’un incremento e d’uno sviluppo antropico
incontrollato.