“Solo se sei pronto a considerare possibile l’impossibile,

sei in grado di scoprire qualcosa di nuovo”.

(Johann Wolfgang Goethe)

“L’importante è avere un pensiero indipendente:

non si deve credere, ma capire”

(Hubert Revees)


“L’Uomo è la specie più folle: venera un Dio invisibile e distrugge una Natura visibile. Senza rendersi conto che la Natura che sta distruggendo è quel Dio che sta venerando”

(Hubert Revees)

martedì 20 ottobre 2020

Campiglia, Isola del Tino e Val di Vara: un “Triangolo delle Bermuda” nel Golfo della Spezia?

 

                          Tributo all’Amico EMILIO MILAZZO, prematuramente scomparso

 


                                                    di GIORGIO PATTERA

La storia di questo triangolo di casa nostra, se così si può chiamare, inizia nel 1975. A partire da quella data, almeno sei “incidenti”, dalla dinamica che definire strana è un puro eufemismo, hanno insanguinato (è proprio il caso di dirlo: si contano otto morti e numerosi feriti) questa splendida propaggine di Lunigiana, tanto apprezzata da un nobile protagonista della cultura europea del 19° secolo, Lord Byron: e Portovenere, dove il poeta inglese soggiornò nel 1822, pare proprio trovarsi, ironia della sorte, al centro del mistero.     


                  

Si tratta solo di semplici coincidenze, travisate “ad usum delphini” dai fantastico-catastrofisti onnipresenti, proseguendo nel filone di Giovan Battista Marino, secondo il quale “...è del poeta il fin la maraviglia...”?

Eppure i dati parlano chiaro ed un innegabile alone di mistero circonda questo relativamente minuscolo triangolo, fra l’entroterra odoroso di macchia mediterranea ed uno tra i mari più belli al mondo, inserito dall'UNESCO, fin dal 1997, nell'elenco del Patrimonio Mondiale, Ambientale e Culturale dell’Umanità.

 


Alone di mistero che resta, comunque, richiamando alla mente del ricercatore curioso il parallelo con un altro, famigerato triangolo: quello delle Bermuda. Ma procediamo con ordine...

1911: sullo “Scoglio Ferale” (già il nome è un programma...), di fronte allo scalo di Schiara (Tramonti), una bianca croce ricorda la scomparsa del Tenente di Vascello Luigi Garovaglio, ivi precipitato in circostanze non del tutto chiare durante rilievi idrografici.

1937: in cima alla “Sella Derbi” (Monte Castellana), un cippo commemora gli aviatori periti in quella zona in un disastro aereo dai contorni strani, durante un volo di esercitazione; notizia, questa, passata in secondo piano, rispetto ad uno dei più eclatanti disastri nella storia dell’aviazione mondiale: il 6 maggio dello stesso anno, infatti, il dirigibile tedesco della serie “Zeppelin”, l’Hindenburg, viene distrutto dalle fiamme, mentre sta atterrando a Lakehurst, nel New Jersey.

Passando a tempi più recenti, gli anni ’90 contemplano l’incidente forse più clamoroso nella storia del “triangolo spezzino”, incidente di cui solo col recupero del SIAI MARCHETTI 250, adagiato a 30 metri di profondità ad un quarto di miglio dalla costa, proprio di fronte allo scoglio del Ferale (ancora!), si potranno dedurre le cause, tutt’ora inspiegabili. Un particolare, tuttavia, è certo: l’SOS lanciato dagli occupanti (due esperti piloti di Genova) recitava così: “Il motore si è piantato; tentiamo l’ammaraggio di fortuna”. Questa comunicazione radio fa eco a quella lanciata il 5 dicembre 1945 dal capo-squadriglia dei cinque cacciabombardieri “Avenger”, in volo d’esercitazione sul mare delle Bermuda. L’unica differenza consiste nel fatto che gli Avenger e l’idrovolante Martin Mariner, inviato alla loro ricerca, non furono mai ritrovati; mentre i piloti genovesi sono riusciti a planare sulle acque antistanti al fatidico scoglio e ad uscire dalla carlinga, prima che il velivolo si inabissasse.     



                           

Ma non è tutto.

Ritornando agli anni precedenti, troviamo che il 27 gennaio 1979 (condizioni meteo buone) precipita un “PIPER” fra Campiglia ed il Monte Castellana, sulle prime alture che dominano La Spezia ed il suo Golfo. Questa volta, purtroppo, entrambi i piloti perdono la vita; un testimone riferisce che “l’aereo, prima di schiantarsi, sfarfallava, come se si muovesse con un’intelligenza propria”.

9 agosto 1979 : un elicottero “AGUSTA BELL” dei Carabinieri di Bergamo precipita di fronte alla costa di Tramonti: nulla da fare per gli occupanti, un Capitano ed un esperto Pilota.

4 aprile 1982 : a S.Benedetto, frazione di Riccò del Golfo, si schianta in un’agghiacciante picchiata un “P 66 CHARLIE”; un morto e due feriti.




A questo punto, parafrasando l’intercalare d’un noto conduttore televisivo di qualche tempo fa, la domanda sorge spontanea: “Sì, va be’, il confronto con le Bermuda ci può anche stare: ma, correggetemi se sbaglio, nel triangolo dell’Atlantico si parla anche di presenze di UFO: e qui, dove sono?”.

Un po’ di pazienza, ché arrivano.

A CAROZZO (La Spezia) scoppia il “caso dell'umanoide volante”. In questa piccola località, frazione del capoluogo, il 17 agosto 2000 diverse persone hanno assistito alle “performances” di un essere dalle sembianze vagamente umane, che ha volteggiato nel silenzio più assoluto nel cielo della vallata, senza utilizzare apparentemente alcun tipo di attrezzature, tipo “jet pack”, parapendìo o ali in grado di sostenerlo, librandosi incredibilmente nell’aria come il “Batman” dei fumetti.

LA SPEZIA, 16 settembre 2000 - “LA NAZIONE”, edizione di La Spezia, nella pagina locale titola espressamente: «Elicottero “insegue” un UFO nel Golfo»: titolo inconsueto, davvero, per un quotidiano serio, per nulla dedito a servizi sensazionalistici...


Cos’era accaduto, quindi, il giorno precedente (venerdì 15 settembre) sul mare che ispirò la penna di Lord Byron? Trascriviamo letteralmente la cronaca:

«Caccia all’UFO nei cieli spezzini o qualche altro mistero? Dopo gli avvistamenti dell’uomo volante sulle prime alture della città (Carozzo, N.d.R., vedi sopra), ieri un oggetto misterioso (una sagoma di colore grigio, grande come un’utilitaria) è transitato nei cieli fra il centro del Golfo e l’isola del Tino. Un “qualcosa” che volava a bassa quota, inseguito da un elicottero militare, sicuramente un mezzo della Marina. Il fatto è accaduto verso le h.17, quando il cielo si è un po’ schiarito dopo aver minacciato la pioggia. Un avvistamento, condito da una sorta di caccia aerea, visibile sia da terra che dal mare, protrattasi oltre la visuale del Tino. Ma su che cosa fosse lo strano oggetto resta il mistero... Dai militari delle basi NATO limitrofe, Cadimare e Luni, nessun commento ufficiale...».

Ovviamente: perché, com’è noto, per chi porta le stellette, gli UFO non devono (e quindi non possono) esistere; ma allora, “cosa” inseguiva quell’elicottero?

FALCINELLO (Sarzana), 13 gennaio 2001 – sempre “LA NAZIONE”, in data 28 gennaio, pubblica con notevole ritardo (“...la consegna del silenzio, in paese, è durata qualche giorno...”) la notizia secondo cui alle h.02.20 di quella notte (13 gennaio) l’insistente abbaiare dei cani, in evidente stato d’agitazione, sveglia gli abitanti della piccola frazione collinare. Ai quali, affacciatisi alle finestre, si presenta un insolito spettacolo: “Dapprima un forte bagliore, molto nitido, sopra il bosco, presso il cimitero; una volta spento, è comparso uno strano oggetto sigariforme, con feritoie emananti una luce giallo-scura. E’ rimasto fermo per una quindicina di minuti, poi ha cominciato a muoversi molto lentamente verso sud; infine è sparito, come se si fosse spento...”.



           

MONTEMARCELLO (Ameglia - SP), alba del 21 giugno 2005 (solstizio d’estate): una “flottiglia” di UFO viene fotografata dal promontorio di Punta Bianca, in direzione delle Alpi Apuane (Massa-Carrara). Nell’ingrandimento del 3° “oggetto” a dx si riconosce una delle tipiche forme di UFO, descritte da vari testimoni. Curiosamente (e non senza una certa soddisfazione) riscontriamo che una tale “shape” viene annoverata nel celebre “BLUE BOOK” dell’USAF a pag.84: un elettricista statunitense, alle 08.25 del 31 luglio 1948, osservò insieme con la moglie dalle finestre di casa per circa 10 secondi un OVNI pressoché identico, che volava velocemente in linea retta da ovest ad est. Non solo: altro avvistamento similare è quello avvenuto nello Stato dell’Oregon (USA) il 22 novembre 1966, scrupolosamente esaminato da Auguste Meessen, Professore di Fisica Teorica all’Università di Lovanio (Belgio). 




Notte fra sabato 24 e domenica 25 luglio 2010, h. 03:45. In località Fiumaretta (comune di Ameglia, La Spezia), C.M. (anni 26, laurea in Scienze Giuridiche), mentre sta facendo manovra per parcheggiare l’auto in cortile, si accorge di un intenso bagliore sulla sommità di Monte Marcello. Il fenomeno desta subito la sua curiosità, in quanto la sommità del monte, che appare illuminata quasi a giorno (e che conosce bene, avendo la casa vacanze a poco più di 2 km. di distanza), non presenta né abitazioni né strade percorribili da traffico veicolare. Interrompe allora la manovra di parcheggio, esce dall’auto ed osserva attentamente quel bagliore, che definisce “forma luminosa trilobata”. Quest’ultima comincia a scendere lentamente dietro il profilo della montagna; ma, una volta scomparsa alla vista, la porzione di cielo sovrastante rimane per parecchio tempo intensamente illuminata, come se la “forma” si fosse solo spostata e continuasse a stazionare dietro il costone montuoso.




D’altronde, la ripetuta frequentazione di questa particolare zona da parte di OVNI, tanto da etichettarla “corridoio preferenziale” o “crocevia UFO”, non è certo sfuggita anche alla stampa specializzata.

Settembre 1978, Casoni (SP), h. 05.30: riportiamo le dichiarazioni rilasciate ad un militare in congedo dell’Aeronautica di Ghedi (e collaboratore esterno del CUN), durante una vacanza trascorsa nel giugno del 2006 a Palmaria, da parte d’un collega, Luogotenente dell’A.M.I. ancora in servizio, circa un evento cui aveva assistito molti anni prima e di cui non aveva mai fatto cenno né ai familiari né agli amici, nemmeno alla moglie. L’intervista al testimone è riportata integralmente su UFO Notiziario di aprile/maggio 2007.




Il militare ricorda così la sua incredibile esperienza:

“Quella mattina, prima del sorgere del sole, ero andato a caccia col cane nei boschi intorno a Casoni, una località a pochi km. da La Spezia, nel comune di Rocchetta Vara. Improvvisamente il mio sguardo fu attratto da un bagliore che scendeva rapidamente a terra, in direzione del bosco sottostante. Pensai inizialmente che fosse precipitato un aereo, ma l’assoluto silenzio circostante mi fece scartare l’ipotesi dell’incidente. Incuriosito, mi addentrai tra il fogliame per vedere meglio ed a circa 200 m. notai una grande luce bianca di forma ellissoidale, del diametro dai sette ai dieci metri, appena sollevata sulla radura che si apriva nel bosco. Tutta questa luce, tuttavia, non si rifletteva nella zona circostante e non illuminava il terreno sottostante; mentre il cane, che solitamente era abituato ad allontanarsi alla ricerca di prede, restò in silenzio, accucciato ed “attaccato” alle mie gambe, come se temesse qualcosa. All’improvviso, da quella immensa luce vidi aprirsi come una “porta”, da cui fuoriuscì un piano inclinato che si adagiò lentamente al suolo. Subito dopo ai lati di quell’apertura comparvero due “individui”, di altezza normale, che indossavano una tuta di volo con casco; si posizionarono all’entrata, l’uno di fronte all’altro, e dopo qualche istante apparve una terza figura. Questa però era vestita “normalmente”, come richiedeva una mattina di settembre (calzoni e giubbetto di colore scuro); scese quasi subito da quel piano inclinato passando in mezzo agli altri due, che lo salutarono con un cenno del capo e con una certa deferenza; quindi s’inoltrò nel bosco, mentre gli altri due rientrarono nel “velivolo”. Sono un sottufficiale anziano, tutt’ora in servizio nell’Aeronautica Militare: so riconoscere ciò che vola normalmente in cielo, ma in questo caso quella “cosa” si mostrò al di fuori di ogni possibile, logica interpretazione. Dopo alcuni istanti, il globo di luce intensa si alzò lentamente in verticale, senza emettere alcun rumore, e schizzò letteralmente via più o meno nella stessa direzione da cui era venuto circa cinque minuti prima. Sempre più incuriosito, raccolsi un po’ di coraggio e corsi immediatamente nella direzione in cui si era allontanata la terza “persona”, con l’intento di fermarla e farmi spiegare qualcosa… ma non riuscii a rintracciarla, nonostante la mia permanenza ad ispezionare il bosco fino alle h. 10.30".



                                     

Ancora: sempre “NOTIZIARIO UFO”, organo ufficiale del Centro Ufologico Nazionale, sul numero di settembre del 1979 dedicava ben quattro pagine (dalla n.° 14 alla n.° 17) all’inchiesta, condotta dalle Sedi CUN di Genova e La Spezia, sugli insoliti quanto misteriosi avvistamenti effettuati da più testimoni in Val di Vara. Fenomeni intriganti ed inspiegabili, tanto da coinvolgere nelle indagini anche le Forze dell’Ordine: i Carabinieri delle Stazioni di Varese Ligure e Sesta Godano e la Guardia Forestale. I fatti, in breve: sul Monte Gottero (m.1.639), al confine fra le province di Parma e La Spezia, la mattina di giovedì 3 maggio 1979, in condizioni meteo splendide, numerosi abitanti di S.Pietro Vara osservano, per un lasso di tempo che va dalle h.7.45 alle h.11.30, un «oggetto di forma semi-ellittica (vedi ricostruzione grafica: lunghezza asse maggiore 5 m. circa), emanante una luminosità intensissima e permanente; tale oggetto emetteva bagliori cristallini di tipo metallico, mentre, al momento di “spegnersi”, assumeva l’aspetto tondeggiante di una cupola grigio-scura». I Militari, preceduti da alcuni ragazzi del posto, compiono una marcia di due ore nei boschi per raggiungere quota 1.639, ma non trovano nulla. La cosa sarebbe finita lì, sennonché il 5 e 6 maggio (il 4 era cattivo tempo) la luminosità riprende immutata; si fa avanti allora l’ipotesi che si tratti del riflesso solare su un aereo precipitato (anche se il sole si trovava dalla parte opposta e quindi l’ipotesi della riflessione era, in primis, da scartare). Tanto che il Maresciallo Buttà, testimone oculare dello strano fenomeno, chiede l’intervento di elicotteri per ispezionare meglio le zone impervie della montagna: richiesta respinta, causa le successive condizioni meteo non idonee. Anche la stampa, in cronaca locale, concede ampio spazio alla notizia: anzi, “IL LAVORO” e “LA NAZIONE” si spingono a riportare il resoconto di alcuni testimoni (rigorosamente anonimi), secondo i quali «l’oggetto avrebbe eseguito alcune manovre, scendendo di quota ed attestandosi nella zona del Monte Pizzofreddo (m.1.518)».




21 agosto 1979, località Giustiniana di Ceparana (SP), h. 5.55:

La titolare d’un esercizio di prodotti ittici presso il Molo di La Spezia, pronta a recarsi in negozio, aprì la serranda del garage per uscire con l’auto. Dopo aver fatto salire sui sedili posteriori il cane, mise in moto la sua Mercedes ed in retromarcia uscì dall’autorimessa, percorrendo una decina di metri; poi, arrestata l’auto, scese per chiudere la porta del garage. Ritornando verso l’auto, notò (dapprima senza darvi troppo peso) che il suo spinone tedesco, agitatissimo, cercava di uscire dalla vettura, lanciandosi da una portiera all’altra con le zampe contro i finestrini, ringhiando ed abbaiando. La sua attenzione, tuttavia, ne fu momentaneamente distolta dal fatto che il marito si era dimenticato di spegnere le luci esterne, per cui si premurò di raggiungere l’interruttore delle stesse, che si trovava all’inizio della scalinata. Fatto questo, stava accingendosi a salire in macchina, quando si accorse (non senza sorpresa) che una luce ancora persisteva, ancorché un po’ più rosea: si girò, vide che le lampade del cortile risultavano spente... ma anche qualcos’altro, che la immobilizzò a fianco dell’auto col motore acceso.

A circa sei metri d’altezza, sopra le cime degli alberi del boschetto adiacente (quindi a 15 m. dal suolo e a meno di 30 metri di distanza), si librava perfettamente immobile uno strano velivolo, di forma circolare, sui 6-8 m. di diametro, di colore grigio scuro, con la parte inferiore perfettamente piatta, ma non levigata, piuttosto grezza (come porosa). Sul bordo esterno si trovavano dei grossi fori circolari (la signora ne contò nove), dai quali fuoriusciva una luminosità arancione molto intensa. Dalla parte inferiore, malgrado non si notasse alcun foro, uscivano cinque raggi di luce bianca, tipo neon, perfettamente delimitati, che però, stranamente, non illuminavano le cime degli alberi sottostanti. La parte superiore era sormontata da una cupola trasparente, dalla cui sommità si alzava un “cono”, anch’esso trasparente. Il velivolo emetteva un fastidioso ronzio, come quello causato da uno sciame di zanzare.

La signora, meravigliata ma non impaurita, mantenne la calma; anzi, mossa dalla curiosità, continuò a scrutare lo strano “oggetto”, per vedere se avesse qualche sigla o contrassegno o qualcos’altro che permettesse una possibile identificazione: e fu in quel momento che percepì la netta sensazione di essere continuamente osservata.

La teste continuò a guardare il velivolo e questi improvvisamente, aumentando il ronzio fino a farlo diventare insopportabile all’udito, compì uno scatto verso l’alto di parecchi metri, stabilizzandosi nuovamente, quindi un altro scatto ed infine un terzo. Questa fu l’ultima cosa che la testimone ricordò. Dall’inizio dell’osservazione a questo momento passarono non più di tre minuti, quindi dalle 05.55 alle 05.58.

Quando la signora riprese a ricordare, erano esattamente le 06.03, come poté constatare dal suo orologio. Vi era però un fatto sconcertante: la teste non era più ai piedi della scalinata della sua abitazione, ma seduta dentro l’auto ferma, con motore spento, parcheggiata in maniera inusitata a trenta centimetri dalla porta della chiesa di Ceparana, ad un km. o forse più dalla sua abitazione. Sui sedili posteriori il cane continuava a dibattersi e ad ululare, come se fosse stato percosso.

La signora scese dalla macchina e si appoggiò al cofano del motore: questo era freddo, assolutamente freddo come se non fosse mai stato messo in moto. Come avevano fatto, lei e l’auto, a giungere fin lì?

Durante l’inchiesta che fu immediatamente condotta, si percorse in macchina il tratto che dalla villa porta all’Aurelia e successivamente a Ceparana. Il primo tratto era in costruzione e presentava un fondo molto sconnesso, pieno di buche e sassi; per di più, era in ripida discesa, con tre curve a gomito senza protezione laterale. Pertanto lo si poteva percorrere solo a passo d’uomo (per circa 400 m.); poi iniziava l’asfalto (per altri 300 m.) e quindi altri 300 metri per arrivare alla chiesa = un Km. e forse più, che per le particolari condizioni non si poteva percorrere in così breve tempo, considerato anche che la signora guidava con prudenza.

 


Anche lo scrivente, grazie alla relativa vicinanza geografica dei predetti luoghi (40’ di autostrada) e dei giornalieri contatti con amici e colleghi ivi residenti, ha potuto verificare in un considerevole intervallo di tempo (1980 – 2010) quanto la zona in oggetto di studio sia stata costantemente interessata da fenomeni aerei anomali, per lo più riconducibili a manifestazioni UFO. Tutti questi dati, sottoposti a doverosa scrematura, sono stati assemblati e riportati sulla carta della bassa Lunigiana, ottenendo come risultante un triangolo che, pur ponendo i vertici in località diverse da quelle evocate dalla stampa locale, presenta un “cuore” perfettamente coincidente, in entrambe le costruzioni geometriche, con il Golfo di La Spezia, ove sono avvenuti, lo ricordiamo, gli “incidenti” Bermuda-simili di maggior risonanza e, quel ch’è più rilevante, di sconosciuta causa.                                                      

 



            

                                   « Non c'è istinto pari a quello del cuore »  (L. Byron)


BIBLIOGRAFIA:

PROJECT BLUE BOOK – Special Report n.° 14 – ATIC, Wright-Patterson – OHIO, 1955

Michel Bougard – Des Soucoupes Volantes aux OVNI – SOBEPS, Bruxelles 1976

C.U.N. - Notiziario UFO – settembre e dicembre 1979

C.U.N. - UFO Notiziario – aprile/maggio 2007

AA.VV. - UFO in ITALIA: LA GRANDE ONDATA (1977-1980) – C.Tedeschi, Firenze, ottobre 2007

Prof. Enrico Calzolari in “Area di Confine” - agosto 2009

C.U.N. – UFO INTERNATIONAL MAGAZINE – aprile 2018

EMILIO MILAZZO – UFO a LA SPEZIA – Amazon, 2019 (postumo, a cura del figlio)



                                                           APPENDICE N. 1

CURIOSITA’

11 novembre 1954, h. 19:45 – Isola di Ortonovo (La Spezia)

L'agricoltore Amerigo Lorenzini, di 48 anni, si accingeva a portare l'erba ai suoi dodici conigli, chiusi in una grossa gabbia posta a pochi metri da casa.

Egli abitava allora, con la moglie e due figlie di cinque e sette anni, in un vecchio fabbricato colonico, nei pressi del paese di Isola di Ortonovo, a circa quattordici chilometri a sud-est di La Spezia.

Mentre si avvicinava alla conigliera, avvertì all'improvviso, dietro di lui e in alto, uno strano rumore: come un fruscio di vento o il volo d’uno stormo di rondini. Voltatosi e sollevato lo sguardo, rimase abbagliato da un’intensa luce che poi, a poco a poco, si affievolì. Allora scorse, posato nel prato antistante, un grande oggetto a forma di «sigaro», circondato da un alone luminoso.

Il testimone rimase immobilizzato dallo stupore. Dal «sigaro», attraverso una «porticina laterale», uscirono tre esseri piccolissimi, vestiti di uno scafandro metallico che non lasciava trasparire il volto; parlavano fra loro in un linguaggio incomprensibile. Con decisione, come persone pratiche del luogo, si diressero rapidamente verso la conigliera, senza far caso al Lorenzini. Vedendoli avvicinarsi, quest'ul¬timo si scosse dallo stupore, indietreggiò un poco, poi corse in casa. Entrò, gridò alla moglie ed alle figlie di non muoversi, prese il fucile da caccia e si appostò dietro un riparo. Gli «omini» erano davanti alla conigliera: dai loro gesti, il testimone capì che avevano l'intenzione di portarsi via i conigli. Allora puntò il fucile e premette il grilletto, ma il colpo non partì. Tentò nuovamente di sparare, ma invano. Per di più, il fucile stava diventando sempre più pesante e, quindi, difficile da maneggiare; ad un certo momento dovette addirittura lasciarlo cadere a terra. A questo punto, il Lorenzini cercò di gridare, ma non riuscì a farlo. Impotente, assistette al furto dei suoi conigli (conigliera compresa), al rientro degli «omini» con il bottino nel «sigaro» ed al decollo di quest'ultimo, che si allontanò a fortissima velocità in direzione di Avenza (cioè verso sud). Solo allora il testimone riuscì a riprendere il controllo di se stesso, raccolse il fucile e sparò verso l’oggetto ormai lontano: questa volta il colpo partì regolarmente. Il Lorenzini chiamò gente, ma nessuna traccia fu trovata sul prato, nel punto dell’atterraggio; tutti poterono constatare però che la conigliera, con i dodici conigli, non c’era più.

Il Lorenzini era stimato in zona e considerato come persona molto seria e sobria.

FONTE:

AA.VV. - UFO in ITALIA: L’ONDATA del 1954 – C.Tedeschi, Firenze, 1980


                                                           APPENDICE N. 2 :




La Spezia “segreta”…

Esiste una seconda La Spezia, oltre alla città “militare” costruita dai Savoia attorno al primo arsenale navale del nuovo Regno d’Italia (a fine Ottocento), una città segreta, anch’essa militare, scavata dentro le colline del Golfo dei Poeti durante gli anni della “guerra fredda”, quando l’area spezzina era il principale polo navale della Marina. Gallerie sconosciute ancora oggi ai più, segreti che sono stati svelati dopo che sono caduti, solo di recente, i vincoli Nato. E così si è scoperto che tra i borghi periferici di Marola e Fabiano, lungo la sponda di ponente del golfo, esistono chilometriche gallerie in cui sui trovano, ancora oggi, officine specializzate, enormi generatori, sale tecniche, immensi depositi, centrali telefoniche, insomma tutto quello serve per garantire energia e funzionalità di una base militare sotto attacco, anche in caso di guerra nucleare.

Il tempo in quei cunicoli, in cui possono entrare anche i camion, si è fermato alle 17.19 di un mercoledì 22 aprile, l’anno non lo si conosce (forse il 1992), quando tutto è stato spento per l’ultima volta.

A testimoniarlo c’è un orologio meccanico bloccato su quell’istante preciso, ma per il resto è tutto lì al buio, immutato nel tempo, a ricordare che al di là di quelle porte che avrebbero dovuto resistere ad un’esplosione atomica (nelle gallerie la pressione era tenuta superiore a quella esterna per non far entrare aria contaminata), c’erano uomini che non si sarebbero arresi.

Ma l’enorme impianto dell’Acquasanta, dal nome delle località, non era l’unico. Un paio di colline dopo, sopra il promontorio di Porto Venere, c’è la Castellana, una sommità imponente sul Golfo, sulla cui cima si trova, in una vecchia fortificazione ottocentesca poi trasformata, un centro radio ancor oggi operativo.

Ma dentro il monte vi è un segreto, un’altra base, enorme pure lei, che doveva ospitare il comando in capo della Prima Divisione Navale, il cuore della flotta italiana tra gli anni cinquanta e gli ottanta. Doveva accogliere, in caso di conflitto, la centrale operativa, le comunicazioni, la sala cifra, gli uffici, i servizi e gli alloggi per tutto l’Alto Comando; ed è ancora lì, sotto novanta metri di roccia. Ed anche l’isola Palmaria, per gli esperti forse il luogo più fortificato al mondo (dal ‘400 ad oggi è ancora sede di opere militari), custodisce una sua “base in galleria”: questa era una stazione radio in grado di ascoltare anche le comunicazioni della “flotta rossa” in mezzo Mediterraneo. La scavarono sempre negli anni cinquanta, stanze su stanze nel centro dell’isola, centinaia di metri dentro la roccia; come gran parte di queste postazioni, non ebbe mai, fortunatamente, un impiego operativo.

Ma non finisce qui, perché ci sono anche enormi depositi di carburante, sempre in galleria, sotto i borghi, dietro l’arsenale militare; altre basi in cemento armato, anch’esse abbandonate dopo la fine della “guerra fredda”, in almeno altre sei località dell’area urbana della Spezia. Un progetto mai realizzato prevedeva poi di costruire anche una galleria per far entrare navi e sommergibili, con tanto di bacini di carenaggio sotto il monte, ma poi si decise di puntare ad altro, alla tecnologia.

Così, leggendo il libro “Spezia nella Guerra Fredda” (scritto dallo storico locale Stefano Danese e dal Direttore del Museo Navale Silvano Benedetti, in cui sono raccolte trecento immagini della costruzione di queste “opere fortificate”, oltre che i dati “top secret” oggi desecretati), si scopre che alla Spezia uno scienziato tedesco, Hermann Oberth, “recuperato” in fuga dai servizi segreti italiani, creò un nuovo propellente per missili (in un laboratorio segreto in zona Pagliari), utilizzato poi dagli americani per la missione NASA che portò l’uomo sulla Luna. Oppure che in un altro laboratorio misterioso, in località Punta Castagna, venne assemblato e testato il primo missile balistico per testate atomiche italiano: era il Vettore Alfa, che sarebbe poi dovuto essere imbarcato sulle navi della Marina; ma anch’esso venne “requisito” dagli americani, per i vincoli imposti dalla Nato.


I misteri del golfo spezzino in quegli anni non si fermano a questo: così nel libro si mostra il “sarchiapone”, ovvero il primo radar che poteva vedere un sommergibile immerso. Ancora oggi, su questa apparecchiatura innovativa (altra eccellenza italiana, poi “ceduta”) le leggende si sprecano; ma il primo modello è ancora nel luogo dove venne sperimentato: in una base-bunker “riservata”, sulle alture spezzine.

Mariano Alberto Vignali

FONTE : « IL SECOLO XIX », 28/10/2017

http://www.ilsecoloxix.it/p/la_spezia/2017/10/28/ASkhxELK-atomica_spezia_segreta.shtml

 


domenica 18 ottobre 2020

INTERMEZZO...POETICO

 


Cosa ti mando?...

 

Beh, quasi quasi... le mando dei fiori!

                             Che c’è di più bello, per la tua amata,

per chi sa vestirsi di mille colori,

                        degli “occhi del sole”, per essere ornata?

 

Già... ma che fiore le posso mandare?

                              Una gardenia? Un giglio odoroso?

Sol deve saper che ho imparato ad amare:

                                non deve per forza mostrarsi vistoso...

 

Ecco, ci sono! Per lei, ch’è una sposa,

                                il fior più gentile dev’esser Regina;

e questo soltanto può esser la Rosa,

                           come ‘l suo nome, d’eterna bambina...

 

Cinque...e poi sette...e poi, più di mille!

                                 Voglio coprirla di perle e profumi,

voglio che in casa si faccian faville

                           e udir la sua voce: << Sento che m’ami...>>.

 

Mandargliele devo con grande furgone,

                               che attento si muova per non rovinarle,

anche su strada con gran polverone;

                               e nelle sue braccia dovrà consegnarle...

 

E se non la trova? Sta sempre sul mare,

                                 novella Nausìca, in attesa d’Ulisse;

fin che un bel dì lo vede arrivare:

                            << Vedrai che ritorno! >>, un tempo le disse.

 

Allora, ho trovato, le mando colomba:

                                legarle le rose dovrò alla zampina,

ma per far in modo che ‘l peso non senta,

                              ne mando una sola, una Rosa Canina...

 

E se del falco diventa la preda?

                       Oh no, non sia mai che divina creatura

il giorno seguente, mia causa, non veda:

                             e se non arriva... che brutta figura!...

 

D’inviarle una cosa alfine ho pensato,

                                che parli di me: le scrivo un sonetto,

ch’è come una rosa, che al posto del prato

                             sbocciata è sul bianco di questo foglietto.

 

Lungi noi siamo, ma sempre vicini:

                             deportelo in mano e attender risposta,

col nostro sorriso d’eterni bambini,

                           lo sai che non posso: ...e allor c’è la posta!


                                                                                      GIORGIO PATTERA


sabato 17 ottobre 2020

ESPERIMENTO FILADELFIA

 


                          leggenda metropolitana o progetto militare sfuggito di mano?

                                               di GIORGIO PATTERA

Secondo vecchi documenti della Marina Militare (ritrovati presso gli archivi del Centro Storico Navale e poi occultati…), gli USA, nella continua e sfrenata ricerca di nuove tecnologie (come i sistemi anti-radar) per aumentare la propria supremazia bellica, condussero un presunto test nel corso del progetto denominato dalla United States Navy “Arcobaleno”, sotto la direzione di Franklin Reno (a volte, nei documenti, citato come il “Dott. Rinehart”), al quale avrebbero partecipato anche uomini di scienza del calibro di Albert Einstein e Nikola Tesla. Il progetto “Arcobaleno” avrebbe dovuto raggiungere lo scopo di deformare, tramite un campo elettromagnetico, il flusso della luce in una determinata area e rendere così INVISIBILE un oggetto di qualsiasi dimensione. L’esperimento parte dalla controversa “teoria dei campi unificati di Einstein”, che presuppone una relazione reciproca tra le forze di radiazione elettromagnetica e quella di gravità, sfruttando per la generazione del campo magnetico, per l’appunto, le famose bobine di Nikola Tesla.

La “chimera” dell’invisibilità aveva preso il via a partire dagli anni ‘30.


Nel 1931 una commissione di scienziati si riuniva all’Università di Chicago per progettare i futuri esperimenti, sotto la guida del rettore John Hutchinson e del suo “assistente” Emil Kirtenauer. Due anni più tardi l’intero progetto fu trasferito al Princeton’s Institute of Advanced Studies e qui si unirono al gruppo Albert Einstein e John von Neumann. Nel 1934 fu la volta di Nikola Tesla, convocato dallo stesso presidente Roosevelt; i primi test di laboratorio furono condotti nel 1936 con un discreto successo, ottenendo un’invisibilità parziale, che fu sufficiente ad incoraggiare il proseguimento delle ricerche. A quel punto entrò nel team il Dr. Gustave Le Bon, seguito nel 1940 dai Dottori Clarkston e Thomas Townsend Brown [1]: il primo esperimento all’aperto si svolse a Brooklyn nel 1940, sotto la guida di Nikola Tesla. In un cantiere della Marina fu approntata una piccola nave senza equipaggio, alimentata via cavo da altre due navi poste ai lati, così che si potesse interrompere la corrente in caso d’incidenti. L’esperimento ebbe comunque successo e la nave diventò invisibile come previsto.

E fu così che si giunse al…

28 ottobre 1943, h. 17:15.

Il cacciatorpediniere ELDRIDGE DE-173, ancorato nel porto di Filadelfia (Pennsylvania), è il protagonista di questo incredibile evento: nel giro di pochi secondi svanisce in una luminescenza verdastra e solo l’incavo dello scafo sull’acqua calma della dàrsena rimane a testimoniare la presenza della nave, che si rimaterializza nello stesso punto dopo alcuni minuti.


Effetto accidentale d’invisibilità della materia, consequenziale al progetto di “mimetizzazione elettronica anti-radar”, compiuto dagli americani sul finire della seconda guerra mondiale? Fenomeno di teletrasporto? (Da più parti si asserisce, infatti, che la nave sia apparsa nel porto di Norfolk, Virginia, proprio nel periodo in cui era mancata da Filadelfia). Tragico errore nell’ambito della sperimentazione di difesa anti-mine magnetiche in dotazione alla Germania di Hitler, causa di tanti affondamenti di navi americane?

In ogni caso la Marina degli Stati Uniti ha fatto di tutto per tenere nascosto l’episodio. Tuttavia qualcosa è trapelato; anzi, si è avuta notizia dei disastrosi effetti che l’esperimento avrebbe provocato sui membri dell’equipaggio, nessuno dei quali sarebbe rimasto immune da gravissime conseguenze. Nel migliore dei casi, si parla di pazzia; nel peggiore, di effetti allucinanti (i marinai rimasero come “congelati” o “bruciarono per giorni interi”).

Cosa c’è di vero? Purtroppo non ci è dato sapere molto sull’argomento e finché la Marina Americana non si deciderà a rendere pubblico il «Dossier Filadelfia», grazie al F.O.I.A. (Freedom of Information Act = legge sulla libertà d’informazione), possiamo solo ipotizzare.

Sappiamo che negli anni di poco precedenti il 1943 un gruppo di scienziati, tra cui Albert Einstein e Nìkola Tesla, stava studiando la tendenza di un condensatore elettrico, caricato a tensione molto elevata, a muoversi verso il polo positivo. Sembra che questi siano riusciti a far volare dei condensatori discoidali di vario diametro, dopo averli caricati con tensioni dell’ordine di DECINE DI MIGLIAIA DI VOLTS.

Che l’Esperimento Filadelfia sia stato la “prova generale” di questi studi?

Pare che sulla nave fosse infatti montato un enorme magnete, circondato da bobine attraverso le quali passava la corrente prodotta da un grande generatore elettrico. Secondo altri, l’Eldridge era fiancheggiato da altre due navi, che fornivano energia al cacciatorpediniere.

Di certo, comunque, non si sa nulla: i testimoni, ormai, sono rimasti in pochi e, tra i pochi, alcuni sono reticenti, altri non molto attendibili.

Qualcosa deve essere successo, d’altronde, se è vero che nei mesi successivi alla vicenda si verificarono alcuni strani episodi, aventi come protagonisti gli uomini che si trovavano a bordo dell’Eldridge al momento del fatto. Uno di loro divenne “invisibile” mentre beveva qualcosa al tavolo di un bar e non fu più possibile localizzarlo, pur udendone la voce, se non con la tecnica della “contrapposizione delle mani”; altri furono protagonisti di inauditi episodi di violenza.

Certo, possiamo immaginare quale shock sia stato per quegli uomini il trovarsi fisicamente ed emotivamente coinvolti in un campo di forze tale da trasportare una nave, pesante alcune migliaia di tonnellate, a migliaia di miglia di distanza! Purtroppo per loro, non fu possibile formulare alcuna prognosi né adottare alcuna terapia, in quanto hanno rappresentato (e lo sono a tutt’oggi) un caso “unico” nella storia della medicina.

Da più parti si è anche parlato di contatti da parte degli uomini imbarcati sull’Eldridge al momento dell’incidente con presunte “entità aliene”.

Non possiamo certo dimostrarlo, ma nemmeno escluderlo, se si pensa che molti ritengono gli alieni “curiosi” di ogni attività umana di una certa importanza, specie quando vengano maneggiate grandi sorgenti di energia (es. nucleare) o siano implicati giganteschi campi di forza (magnetismo terrestre).

Troppo poco ne sappiamo per continuare: di certo l’Esperimento Filadelfia, se si è verificato (e finora nulla vieta di crederlo), ha aperto porte sconosciute su dimensioni inimmaginabili (quelle ipotizzate da Einstein “ultima maniera”, a parziale revisione delle teorie relativistiche). Porte che sono state, a quanto pare, subito richiuse, a causa dell’eccezionalità di ciò che celavano, della pericolosità (e non solo per l’uomo) delle forze in gioco e per l’incapacità da parte di chi le aveva spalancate di dominare l’immensa energia che ne era scaturita.

Tuttavia recentemente alcuni ricercatori americani hanno teorizzato, dopo svariati studi, che la smagnetizzazione di un oggetto, di qualunque dimensione, possa in effetti renderlo invisibile. A questo proposito ricordiamo che nell'ottobre del 2006 alla Duke University di Durham (Carolina del Nord) si sarebbe riusciti ad ottenere un effetto simile a quello presupposto dall'esperimento, su scala molto ridotta e solo per quanto riguarda alcuni tipi di microonde elettromagnetiche.

Ma siamo convinti che in un futuro non molto lontano queste porte verranno nuovamente dischiuse, non senza aver provveduto ad approntare idonei mezzi di protezione e di controllo nei confronti di quelle forze ancora sconosciute con cui l’Uomo, inevitabilmente, è destinato a venire in contatto e che potrebbero risultare decisive per lo sviluppo della propria evoluzione e, in ultima analisi, per la sopravvivenza del genere umano (viaggi extra-solari).




 

[1] = Fisico statunitense, laureato alla Denison University di Granville, nell’Ohio. Collaborò negli anni ’20 con il prof. Paul Alfred Biefeld, identificando un nuovo principio fisico, che prese il nome di “effetto Biefeld-Brown”. Il fenomeno riguarda la tendenza di un condensatore elettrico, caricato a tensione molto elevata, a muoversi in direzione del polo positivo. In una dimostrazione pubblica, Brown usò quest’effetto per sollevare una serie di dischi Ø 90 cm. e farli volare su una traiettoria circolare di 15 metri di diametro. Nei laboratori della francese Société Nationale de Construction Aéronautique Sud-Ouest, Brown raggiunse velocità di diverse centinaia di Km/h, impiegando tensioni comprese tra i 100.000 e i 200.000 volts. Il rendimento risultò maggiore nel vuoto spinto, smentendo coloro che interpretavano la levitazione dei dischi come il risultato della ionizzazione dell’aria e dei conseguenti urti tra le sue molecole. Negli anni ’50 Brown dimostrò di fronte al pubblico (alla presenza di osservatori militari) di poter usare il suo effetto per ridurre il peso di qualunque oggetto del 30%. Sempre negli anni ’50, l’effetto Biefeld-Brown fu esaminato all’interno del programma statunitense per la propulsione a gravitá controllata, precisamente dalla Gravity Research Foundation, l’Aerospace Research Laboratories (ARL) e il Research Institute for Advanced Study (RIAS).

I lavori di Brown sono considerati controversi, in quanto potrebbero dimostrare (ed anche lui ne era convinto) il modo di sostentamento e di propulsione degli UFO. Brown fu uno dei primi investigatori in campo ufologico e nel 1956 fondò, insieme con Donald Keyhoe, il NICAP (National Investigations Committee On Aerial Phenomena), organizzazione civile molto seria ed influente in ambito ufologico. L'attività del NICAP (manco a dirlo) attirò l'attenzione della CIA e diversi alti ufficiali si infiltrarono nel gruppo.

<< Oggigiorno il più grande ostacolo al progresso scientifico è il rifiuto di alcuni,

scienziati inclusi, a credere che possano accadere fenomeni in apparenza fantastici >>.

                     GEORGE S.TRIMBLE, direttore Manned Spacecraft Center / NASA - Houston


BIBLIOGRAFIA

Moore/Berlitz – ESPERIMENTO FILADELFIA – Sonzogno, 1979




RIFERIMENTI

https://it.wikipedia.org/wiki/Esperimento_di_Filadelfia

https://ilviandantediecate.wordpress.com/2013/10/28/uss-eldridge/

https://www.ligurianautica.com/rubriche/lesperimento-di-filadelfia-la-nave-che-supero-i-confini-dello-spazio-e-del-tempo/

https://gaetaniumberto.wordpress.com/2015/10/03/esperimento-di-philadelphia-retroscena-di-un-insabbiamento-riuscito-a-meta/

https://megachirottera.blogspot.com/2019/05/quel-giorno-philadelphia.html

http://stopilluminati.weebly.com/philadelphia.html#_ftnref2

 

UN “CAPPELLO” INQUIETANTE…

di GIORGIO PATTERA   Il quotidiano “ LA GAZZETTA DI PARMA ” del 15 gennaio 1990 postava un breve ma intrigante trafiletto (integralmente r...