di GIORGIO PATTERA
Sono le h. 04:45 del 6 dicembre,
uno dei freddissimi sabati dell’ultimo mese del 2008. Fuori è ancora
completamente buio e ai lati della strada tutto è ghiacciato, vegetazione e
pozzanghere. Ma anche se è sabato, R.F., 43enne, tecnico presso un’azienda
metalmeccanica della provincia di Reggio Emilia, è già in sella alla bicicletta
per recarsi al lavoro. Già, perché l’azienda da cui dipende svolge attività
anche di sabato, dalle h. 07:00 alle 12:00; e quindi deve sbrigarsi, per non
far tardi all’appuntamento con il collega, che l’attende in auto al parcheggio
del Palasport di Parma. Da qui s’imbocca la tangenziale sud e poi via, per una
ventina di km., fino a Montecchio Emilia, sede dell’azienda. Tuttavia mai come
quella mattina, per R.F., i sette km. che separano casa sua (a Vicofertile) da
Parma, devono essere sembrati interminabili, ma soprattutto indimenticabili !
Ma veniamo ai fatti.
L’involontario protagonista dello sconcertante fenomeno che andiamo a descrivere si trova, dunque, in sella alla bicicletta (imbacuccato nel giubbotto impermeabile, con tanto di sciarpa intorno al collo: la temperatura è prossima allo 0°C) e sta pedalando nel sottopasso della tangenziale, lungo una cinquantina di metri. Ad un tratto, nel silenzio della notte, avverte distintamente una sorta di “rombo”, come quello di un camion: ma non c’è alcun veicolo in avvicinamento, né dietro né avanti a sé. Nel contempo si accorge che, alla fine del tunnel, la strada si stava illuminando, insolitamente, d’azzurro. Non appena uscito dal sottopasso, percepisce nettamente un enorme calore che, partendo dalla testa, s’irradia velocemente per tutto il corpo, mentre il tratto di strada antistante si riempie di un’intensa colorazione azzurra. A questo punto il testimone, cominciando ad essere allarmato dalla piega che la situazione stava prendendo, si ferma, scende dalla bicicletta, si leva il giubbotto, annoda la sciarpa al manubrio (avverte un calore insopportabile, ma non è sudato) ed istintivamente alza lo sguardo verso il cielo. Lo spettacolo che gli si presenta, a circa 200 m. d’altezza, ha dell’incredibile: sopra di sé staziona, fluttuando quasi impercettibilmente e nel più totale silenzio, un enorme “oggetto” di forma discoidale (ma dal perimetro pluri-segmentato, come quello di un poliedro), dotato di una corona circolare in cui erano inscritte numerose “aperture ovali” (oblò?), emananti “flash” di colore azzurro in sequenza alternata (tipo luce stroboscopica o luminaria natalizia). In posizione centrale il “disco” presentava un grande “faro”, che proiettava al suolo un intenso fascio di luce fissa, anch’essa azzurra. L’osservazione si è protratta solo per alcuni istanti, in quanto, poco dopo che il testimone aveva alzato il capo verso l’alto, l’oggetto luminoso ha cominciato a muoversi velocemente, spostandosi dalla sx del teste (dal quartiere “Crocetta”, quindi da nord-est) alla sua dx (verso Corcagnano, quindi sud-ovest) e illuminando a giorno tutto il paesaggio (alberi, case, campi). Il tutto senza provocare alcun rumore o spostamento d’aria, per poi “sparire nel nulla”, lasciando dietro di sé una lunghissima “striscia” azzurra (come la scia di condensazione dei jet convenzionali, ma di consistenza diversa), che pian piano si è frammentata in più tronconi ed è scesa verso terra.
A questo punto l’attonito testimone si accorge che un’auto (una Peugeot rossa, non meglio memorizzata, viste le circostanze), proveniente dal senso opposto, si è fermata sul ciglio della strada, a poca distanza dalla sua bicicletta. Il conducente, un giovane di circa 25 anni, aveva osservato l’inusitato fenomeno attraverso la portiera lato guida, col vetro abbassato, senza scendere dalla macchina, forse impietrito dallo sbigottimento (non è dato sapere se per ciò che aveva visto o per l’evidente sconcerto mostrato dall’altro teste). Un breve scambio di battute evidenzia lo stupore di entrambi e, contestualmente, la realtà oggettiva di quanto si era manifestato ai loro occhi: «Ma cos’era quella “cosa”?», chiede il giovane all’operaio, come alla ricerca di una conferma di ciò che aveva visto. «Lo chiedi a me? Di certo l’hai vista meglio tu, che l’avevi di fronte!», risponde l’altro, fra lo sgomento e l’ironico. «Ma ti senti bene? Vuoi che ti accompagni al pronto soccorso, che è qui vicino?», insiste il ragazzo al volante. «Ma no, sto benissimo; ho solo questo enorme calore addosso, mi sono tolto anche il giubbotto perché mi arriva fino alla schiena, la sento come se bruciasse! Ora però devo andare al lavoro; vado, altrimenti faccio tardi!». Poi, prima di rimontare in sella, R.F. si abbandona ad un’ultima, legittima interrogazione: «Ma chi è che ci può credere, a noi?». Di contro, il conducente della Peugeot: «Chi vuoi che ci creda, se non tu, che l’avevi sulla testa...!?».
Giunto al punto d’incontro col collega (che lo stava attendendo in auto, preoccupato per il ritardo), R.F. non se la sente di ripartire subito alla volta dell’azienda e, a costo di giungere tardi al lavoro, sente il bisogno di prendersi almeno un caffè, quasi ad esorcizzare per un attimo l’incubo che lo aveva attanagliato poco prima. Il barista, che lo conosce da anni, capta subito dall’espressione trasecolata del suo cliente che qualcosa non va e, con amichevole discrezione, lo invita a “vuotare il sacco”. Dopo l’iniziale, comprensibile esitazione, R.F. si lascia convincere: sa che il barista è uno dei pochi cui può raccontare l’accaduto, senza tema di essere compatito o deriso. Alla fine del breve e comprensibilmente concitato racconto, pur ricevendo l’incondizionata solidarietà del barista, lo scoramento si riaffaccia nell’animo dell’operaio, allorché un avventore, appoggiato al bancone, si mette a ridere. «Ecco, lo sapevo, io, che me ne dovevo star zitto, nessuno può credere ad una storia simile!». Ebbene, come nelle scene a sorpresa dei film, lo sconosciuto avventore (anch’egli operaio, che abita nei paraggi; si è saputo dopo – n.d.r.) esclama: «Guarda che non rido alle tue spalle, ma perché so che “queste cose” esistono: anch’io, circa sei anni or sono, più o meno nella stessa zona, ho assistito ad un fenomeno simile a quello che hai appena visto tu !!!...».
Non sappiamo se tale affermazione abbia contribuito a rendere meno agitato il turno di lavoro del tecnico metalmeccanico; sta di fatto che da quel giorno R.F. non abbassa più la tapparella della camera, al momento di coricarsi, per non perdere l’occasione di “rivedere” quell’inimmaginabile oggetto poliedrico, sfavillante di luce azzurra. Cosa impensabile, prima, quando il solo, debole chiarore proveniente dall’esterno gli impediva di addormentarsi, costringendolo a serrare l’avvolgibile.
Consultando la casistica degli avvistamenti OVNI su Parma e provincia, redatta dal sottoscritto, responsabile scientifico del CUN, si conferma che il quadrilatero formato da Vicofertile, Vigheffio, Baganzola e Ponte Taro è particolarmente interessato da fenomeni aerei anomali, di cui, lo ricordiamo, si occupa anche il 2° Reparto – Difesa Aerea – dello Stato Maggiore dell’Aeronautica Militare Italiana. Negli ultimi cinque anni, altre tre segnalazioni sono state raccolte nel perimetro, l’ultima delle quali risale al 6 aprile 2008.
NOTA BENE: unendo con una retta le località (= frazioni del Comune di Parma) interessate da U.A.P. (Unidentified Aerial Phenomena), si ottiene la figura geometrica di un triangolo rettangolo, dove agli estremi dell’ipotenusa si trovano, a nord, l’Aeroporto Internazionale “G.Verdi” e, a sud, la Centrale Elettrica dell’ENEL, che serve tutta la Città: due postazioni cosiddette “sensibili”, ove l’energia di certo non manca… e gli Esobiologi sanno di cosa stiamo parlando…
APPENDICE
Ad indagini concluse, siamo venuti a sapere, non senza una certa “reticenza” da parte dei testimoni (si sa, il “paese” è piccolo e la gente mormora…), che altre due persone, a distanza di meno di due km. in linea d’aria, hanno assistito allo stesso fenomeno. Si tratta di un signore (non possiamo rivelarne l’identità, come da vigenti disposizioni in materia di “privacy”) che, in attesa dell’arrivo del taxi in precedenza prenotato telefonicamente, era sceso sulla strada, davanti alla porta di casa, per accelerare la procedura di trasferimento. Improvvisamente (ed inspiegabilmente) l’oscurità dell’ora mattutina fu squarciata da un bagliore diffuso di colore azzurro, che per qualche attimo pervase la zona dell’appuntamento (prossimità del passaggio a livello della PR-La Spezia, via Jenner).
E
proprio in quel mentre giungeva il taxi, il cui autista, allibito, scese dalla
vettura, esclamando (mi si perdoni la forma dialettale): “Eeehhh, mo co’ el col
lavor chi???”.
Come
sempre succede in questi casi, l’esplicita “consegna” fu quella di serbare il
più assoluto silenzio sull’accaduto, “… sennò mi prendono per matto – l’uno – e
a me tolgono la patente – l’altro…”. Ma prima o poi, il “rospo” è destinato ad
essere sputato…