di GIORGIO PATTERA
La Belladonna è una pianta erbacea
perenne (fam. Solanaceae) con fiori campanulati, tubolosi e penduli di colore
violaceo-cupo. In Italia cresce spontanea su Alpi ed Appennini, fino
all’altitudine di 1.400 metri, prediligendo il suolo calcareo e il margine di
boschi freschi e ombrosi, come le faggete.
Fiorisce nel periodo estivo e i
frutti sono costituiti da lucide bacche nere, che, nonostante l'aspetto
invitante e il sapore gradevole, sono velenosissime per l'uomo. L’ingestione,
anche in modesta quantità, da parte dei bambini (può bastare ½ bacca!),
attratti dall’aspetto invitante delle bacche succose, che possono venir
scambiate per altri appetitosi frutti eduli del sottobosco, come mirtilli o
more, può provocare una serie di gravi conseguenze, quali diminuzione della
sensibilità, forme di delirio, sete, vomito, seguìti, nei casi più gravi, da
convulsioni e morte per insufficienza respiratoria. Per un adulto
l’intossicazione avviene con l’assunzione di 20-30 bacche, ma non è tanto
importante il numero in sé, quanto la concentrazione totale dei princìpi attivi
(tropano-alcaloidi e scopolamina*) in esse contenuta: è sufficiente una dose da
0,01 a 0,1 grammi per provocare la morte…! Gli uccelli e i bovini risultano
molto meno sensibili dell’uomo agli effetti tossici della Belladonna, mentre i
conigli possono mangiare la pianta impunemente: sembra tuttavia che il cibarsi
di questa essenza ne rendesse tossica la carne.
Il termine scientifico, Àtropa
belladonna, deriva dalla sua “doppia personalità”, divisa fra i suoi effetti
letali e l'impiego cosmetico. Àtropo era infatti il nome (in greco: Ἄτροπος =
l'immutabile, l'inevitabile) di una delle tre Moire**, che, nella mitologia
greca, taglia il filo della vita: ciò a ricordare che l'ingestione delle bacche
di questa pianta può causare la morte.
Le tre MOIRE erano la personificazione
del destino ineluttabile: il loro compito era, la prima, di tessere il filo del
fato di ogni uomo, la seconda, di svolgerlo ed infine, la terza, di reciderlo,
segnandone la morte. Àtropo (= l'inflessibile), la più anziana delle tre
sorelle, rappresentava il destino finale: la morte d'ogni individuo, poiché a
lei era assegnato il compito di recidere, con lucide cesoie, il filo che ne
rappresentava la vita, decretandone il momento del trapasso.
Il nome volgare Belladonna,
invece, fa riferimento ad una pratica che risale al Rinascimento: le DAME
usavano un collirio a base del succo di questa pianta, per dare risalto e
lucentezza agli occhi (ed attrarre quindi l’attenzione maschile…), grazie alla
sua capacità di dilatare la pupilla: un effetto detto midriasi, dovuto
all'atropina, che agisce direttamente sul sistema nervoso parasimpatico. Oggi
alcuni dei suoi numerosi princìpi attivi sono impiegati nella tecnica medica
per dilatare le pupille durante le visite oculistiche o come anestetico, in
caso di lesioni corneali.
Sebbene la Belladonna evochi
immagini di veleno e morte (la pianta è stata usata come veleno fin dai tempi
antichi), costituisce un utile e benefico rimedio se usata correttamente. Gli
ALCALOIDI TROPANICI in essa contenuti, adeguatamente dosati, servono a ridurre
le secrezioni (salivari, gastriche, intestinali, bronchiali) e a controllare
gli spasmi della muscolatura liscia (tubuli urinari, vescica). Risulta efficace
anche per rilassare lo stomaco, alleviare il dolore da coliche e combattere
l’ulcera peptica, riducendo la produzione dell’acidità gastrica. Può essere
usata per trattare i sintomi del Morbo di Parkinson, riducendo tremori,
rigidità e migliorando la parola e la mobilità.
E pensare che, nei secoli bui, si
riteneva che durante il “sabba infernale” intorno all’albero di Noce, le
“STREGHE” mescolassero nell’immancabile pentolone, oltre al Giusquiamo ed allo
Stramonio, anche la Belladonna, ottenendone così una pozione che consentiva
loro di “VOLARE”…
Anche oggi si “vola”, purtroppo,
ma con altri (ahimè, mortiferi…) allucinogeni…
(*) = Come principio attivo, la
Scopolamina in molte culture antiche è stata utilizzata con i più svariati
scopi: gli Arabi e gli autoctoni delle Isole Canarie la utilizzavano contro i
nemici, gli Sciamani messicani e gli Aztechi la usavano come allucinogeno per
predire il futuro, a Delfi gli antichi Greci ne facevano uso per indurre ipnosi
e predire il futuro nei riti religiosi.
L'utilizzo della scopolamina come
siero della verità durante gli interrogatori è stato praticato da molte Agenzie
d’Intelligence, inclusa la CIA, sin dagli anni ‘50 (cfr. Progetto MK-ULTRA). In
seguito all'evidenza della sua scarsa utilità (gli effetti allucinogeni
producono distorsione nella percezione della realtà), il suo impiego venne
abbandonato. Sembra che nei campi di prigionia nazisti il criminale Josef
Mengele abbia sperimentato la scopolamina, come droga per estorcere ai
prigionieri informazioni sui movimenti e le dotazioni belliche del nemico.
Dato che può determinare
alterazione della coscienza seguita da amnesia, la scopolamina è talvolta
somministrata di nascosto, disciolta in bevande, aggiunta ad alimenti o
addirittura, essendo una sostanza incolore ed inodore, può essere semplicemente
fatta inalare all'ignara vittima, per commettere rapine o violenze sessuali.
(**) = Corrispondenti alle tre
PARCHE, nella mitologia dell’antica Roma.
RIFERIMENTI:
https://it.wikipedia.org/wiki/Atropa_belladonna
https://it.wikipedia.org/wiki/Moire
https://it.wikipedia.org/wiki/Scopolamina
BIBLIOGRAFIA:
AA.VV. – CURARSI con le ERBE –
Polaris, 1995
North P.M. – PIANTE VELENOSE – The
Pharmaceutical Society of Great Britain, London
M.I.Macioti – MITI E MAGIE DELLE
ERBE – Newton Compton / Roma, 1993
A.Chevallier – ENCICLOPEDIA DELLE
PIANTE MEDICINALI – Idea Libri / Milano, 1997
F.Stary – PIANTE VELENOSE –
Istituto Geografico De Agostini / Novara, 1987