“Solo se sei pronto a considerare possibile l’impossibile,

sei in grado di scoprire qualcosa di nuovo”.

(Johann Wolfgang Goethe)

“L’importante è avere un pensiero indipendente:

non si deve credere, ma capire”

(Hubert Revees)


“L’Uomo è la specie più folle: venera un Dio invisibile e distrugge una Natura visibile. Senza rendersi conto che la Natura che sta distruggendo è quel Dio che sta venerando”

(Hubert Revees)

sabato 26 febbraio 2022

COS’È SUCCESSO A MONTALCINO...?

 


                                   di GIORGIO PATTERA

Come il Medico che, di fronte ad una patologia nuova, cerca di verificare se esistono casi simili descritti in letteratura e come l’investigatore che si documenta circa i precedenti dell’evento delittuoso cui sta lavorando, così l’inquirente scientifico del CUN, di fronte ad un caso particolarmente strano come quello in oggetto, è tenuto a compiere un’analisi retrospettiva dei casi analoghi, prima di giungere ad una conclusione obiettiva e fondata.

In questa occasione ci è stato di supporto il compianto amico e collega parapsicologo Sergio Conti, che pubblicò l’inchiesta dal titolo “Le pietre nere di Montalcino” sul << Giornale dei Misteri >> n.° 133 del giugno 1982 (pp. 5-7).

<< Nei primi giorni del giugno 1967 - relazione il Dr.Conti - l’allora diciassettenne Giuseppe Aldini, abitante a San Casciano Val di Pesa, si recò in gita a Montalcino (Siena) con i genitori. 


La sera stessa del suo arrivo, verso le h. 22.15, dalla finestra della camera dove aveva preso alloggio vide sfrecciare nel cielo, a quota relativamente bassa, uno strano “corpo” sferico di colore rosso-cupo. Questo si spostava velocissimo ad un’andatura costante e si defilò nel più assoluto silenzio, attraversando la porzione di spazio visibile in pochi secondi. Il ragazzo, incuriosito non più di tanto dal misterioso fenomeno (non si è mai interessato, né prima né dopo, a fenomeni del genere), non diede eccessivo peso alla cosa e poco più tardi si coricò. Verso mezzanotte la stanza di Giuseppe, che da sveglio stava ripensando alla strana “palla rossa” osservata poco prima, fu invasa da un tenue chiarore diffuso, di colore rosso, proveniente dalla finestra aperta. La “vampata” di luce rossastra durò solo 5-6 secondi, ma fu sufficiente a spingere Giuseppe ad alzarsi da letto ed affacciarsi alla finestra, per rendersi conto di ciò che stava accadendo. Vide allora, oltre un dosso che nascondeva un prato attiguo ad un vigneto, a circa 300 mt. dalla casa ove si trovava (che era al limite del centro abitato e guardava verso l’aperta campagna), un bagliore rossastro, che andava poco a poco affievolendosi; finché ogni riflesso scomparve del tutto e la campagna ripiombò nel buio della notte. Il ragazzo tornò a letto, ripromettendosi di effettuare il giorno appresso un sopralluogo; cosa che puntualmente avvenne il pomeriggio successivo.

L’Aldini si trovò così di fronte ad un “qualcosa che lo fece rimanere di ghiaccio” (per usare una sua espressione): la traccia di un grosso cerchio, del diametro di una trentina di metri, che sembrava “impresso a fuoco” sul terreno (cfr.tab.4).

                                                                             Tab. 4

Era formato da una grande “corona circolare”, larga una ventina di cm. e profonda dai 10 ai 15, che mostrava evidenti segni di bruciatura: l’erba era arsa e il terreno come indurito da una “cottura”. Nella parte centrale del cerchio vi erano quattro impronte circolari (del diametro di un metro e profonde 30 cm.), perfettamente equidistanti dal centro e disposte agli angoli di un ipotetico quadrato, entro il quale la terra appariva di nuovo completamente riarsa, come se vi fosse stata proiettata la vampa di un lanciafiamme. All’interno della “corona circolare” Giuseppe rinvenne numerose pietruzze di colore scuro, durissime, di forma poliedrica e dalla superficie liscia e pulita. Alcuni di questi reperti furono consegnati da parte della S.U.F. (Sezione Ufologica Fiorentina, di cui lo scrivente è il rappresentante per la provincia di Parma) all’Istituto di Mineralogia, Petrografia e Geochimica dell’Università di Firenze, diretto dalla Prof.ssa Nara Coradossi.

All’analisi diffrattometrica [la stessa impiegata per le “gemme” rinvenute a Stra (VE), caso del 1998 – cfr. pag 48 “UFO: vent’anni di indagini e ricerche”, di G.Pattera], condotta dal Dr.Corsini, si rivelarono “cristalli di quarzo di tipo a (trigonale) senza impurità di altri minerali” >>.




Qui termina la scrupolosa ricostruzione degli eventi curata dal Dr.Conti.

Tuttavia, come ogni indagine scientifica seria e scevra da preconcetti deve contemplare, occorre considerare anche quei particolari che potrebbero prestare il fianco ad interpretazioni diverse da quelle di carattere ufologico.

Il tipo di quarzo a struttura prismatica rinvenuto nella traccia di Montalcino è facilmente reperibile in zona, in quanto fa parte della struttura geologica del senese.

Questo potrebbe togliere valore alla sua presenza nel luogo del presunto atterraggio, se non fosse inspiegabile (come nel caso di Stra) il fatto della notevole quantità di cristalli trovata in quel preciso punto e, quel che più fa specie, limitatamente allo spazio circoscritto dal cerchio, impresso al suolo dal contatto con l’ordigno sconosciuto. Pertanto sembra non essere azzardata l’ipotesi che i residui lìtici raccolti dal testimone si siano formati in conseguenza di un’azione energetica (termica ?) esercitata sugli elementi che componevano il terreno, i quali si sarebbero trasformati fino ad assumere quel particolare aspetto.

Come si evince, dunque, le stesse considerazioni (formulate per “casi” diversi, avvenuti ad oltre trent’anni di distanza l’uno dall’altro, in regioni geologicamente diverse) risultano ancora valide fra loro e, fino a prova contraria, le uniche tuttora compatibili con l’interpretazione in chiave extraterrestre: la qual cosa sta a confermare, se mai occorresse, che il fenomeno U.F.O. resta al di fuori e al di sopra del tempo e dello spazio.

                                                                                                                   

 BIBLIOGRAFIA

A.Ferrari - CHIMICA GENERALE E INORGANICA - Università di Parma, 1958

GALILEO - ENCICLOPEDIA delle SCIENZE e delle TECNICHE (vol.8°) - Sadea Editore, Firenze - 1966

IL GIORNALE DEI MISTERI (n.°133) - C.Tedeschi Editore, Firenze - giugno 1982

C.U.N. - NOTIZIARIO UFO (n.°101) - P.Violin Editore, Padova - sett./ott. 1983

Boncompagni/Lamperi/Ricci/Sani - UFO IN ITALIA (vol.3°) - Edizioni UPIAR, Torino - 1990

Verga M. - TRACAT (III ed.) - Edizioni UPIAR, Torino - 1992

Bianchini M./Cappelli R. - GLI UFO IN VISITA A SIENA - Edizioni UPIAR, Torino - 1996

G.Pattera – UFO: vent’anni di indagini e ricerche – PPS Editrice, Parma - 2007

RIFERIMENTI

http://www.faden.it/pagine_htm/012pagina_cristalli_alfa_beta.htm

https://it.wikipedia.org/wiki/Quarzo



domenica 20 febbraio 2022

COME NASCE L’ESOBIOLOGIA

 

                                   di GIORGIO PATTERA

Cosa significa ESOBIOLOGIA ?

Il termine deriva dal greco: έξω (= fuori), βίος (= vita), λόγια (discorso)

quindi, letteralmente, «Discorso sulla Vita fuori…»

ma fuori da cosa…?

E’ il ramo della Biologia che indaga sulle possibilità di vita extraterrestre. Il termine fu introdotto da J.Lederberg nella riunione del COSPAR (Commettee on Space Research) tenutasi a Nizza nel 1957.

Scopi principali sono la ricerca di forme viventi che eventualmente esistano fuori della Terra e lo studio della fisiologia dell’uomo o di altri organismi portati nello spazio interplanetario, o approdati sul satellite Luna, oppure su altri pianeti. Poiché per riconoscere la presenza delle condizioni necessarie alla vita è assai utile la conoscenza dei primi stadi dell'evoluzione biologica sulla Terra, le indagini su questo argomento vengono considerate come parte imprescindibile dell‘Esobiologia.

L'ipotesi che organismi viventi esistano anche su altri pianeti del nostro sistema solare, o su pianeti di altri sistemi della nostra o di altre galassie, è stata formulata fin dai tempi più antichi: basti ricordare che ne parla già Lucrezio nel «De rerum natura». 

L'argomento è stato poi ripreso in varie opere, dal Rinascimento in poi, in particolare negli «Entretiens sur la pluralité des mondes» di Bernard Le Bovier de Fontenelle (1686).


In epoca moderna, la teoria della Panspermia, per spiegare l'origine della vita sulla terra, fu sostenuta fra gli altri da H. Helmholtz, W. Thomson (Lord Kelvin) e soprattutto da S. Arrhenius, il quale la espose nel libro: «Il divenire dei mondi» (1906).





Secondo questo autore, la vita esisterebbe in molti corpi celesti e si trasmetterebbe dall'uno all'altro per mezzo di microrganismi, che navigherebbero negli spazi interplanetari e intersiderali e raggiungerebbero altri pianeti. Su quelli ove trovano condizioni adatte, si svilupperebbero, dando origine ai primi organismi, dai quali avrebbe inizio l'evoluzione: questa sarebbe stata l'origine della vita sulla Terra.

La teoria di Arrhenius non riscosse subito il favore degli altri ricercatori e per molto tempo non fu tenuta nella debita considerazione, in quanto le condizioni fisiche che si verificano negli spazi interplanetari (vuoto pressoché assoluto, intense radiazioni ionizzanti) non sono tali da consentire la conservazione di alcuna forma di vita a noi nota, anche quiescente, come le spore dei batteri.

Ma ne siamo proprio sicuri ? Ernst Chladni, fisico tedesco, nel 1794 pubblicò uno studio sulle meteoriti ferrose (sideriti), spiegandone l'origine e i fenomeni associati alla caduta. La sua tesi, dapprima fortemente osteggiata, trovò nel giro di pochi anni un valido sostegno negli studi di colleghi Chimici ed Astronomi. A lui nel 1979 è stato intitolato l'asteroide 5053 e un cratere lunare… e da quel momento il “vento” è decisamente cambiato in favore della Panspermia.

Dal 1968 in poi sono state individuate molte molecole organiche nelle nubi di gas e polveri della Galassia, oltre che in vari tipi di corpi celesti (meteoriti, qualche satellite dei grandi pianeti esterni, comete). Prendiamo in considerazione la cometa, ad esempio, come potenziale "veicolo" di diffusione della Vita nel Cosmo.



Secondo l’ipotesi degli astronomi FRED HOYLE e CHANDRA WICKRAMASINGHE, le comete, durante il loro viaggio, raccoglierebbero nello spazio le molecole organiche che incontrano e le trasporterebbero, protette dalle micidiali radiazioni cosmiche e dalla bassissima temperatura del vuoto interstellare (-273 °C) mediante "gusci" di grafite, denominati "fullereni".


E così si scopre che le comete, anziché seminare carestie e pestilenze sulla Terra, vi avrebbero (forse) portato la Vita…

E’ del 10 maggio 2001 la notizia "clamorosa" che un gruppo di ricercatori napoletani avrebbe isolato, all’interno di nuclei meteorici risalenti a qualche miliardo di anni fa, minuscoli batteri (cristallomicrobi o "cryms") in grado di riacquistare mobilità e capacità riproduttiva, una volta rimessi a contatto con acqua allo stato liquido. Questo, nonostante siano stati sottoposti per lunghissimo tempo, oltre alla disidratazione, a temperature estreme (dallo zero assoluto a migliaia di gradi) e pressioni elevatissime (alcune migliaia di atmosfere).

Ad onor del vero, non è una novità che anche sul nostro "minuscolo" Pianeta le forme di vita più elementari, i batteri, riescano a vivere in condizioni proibitive e solo in apparenza incompatibili con lo sviluppo di entità biologiche (come il magma vulcanico e le emissioni acido-gassose delle solfatare), oppure sopportare dosi di radiazioni di gran lunga superiori a quelle necessarie per uccidere un qualsiasi essere vivente, come il Deinococcus radiodurans. 

Questo microscopico batterio è un campione di resistenza alle radiazioni, tanto da comparire nel libro dei Guinness World Records come “The Most radiation-resistant lifeform” – la “forma di vita più resistente alle radiazioni”. Nel 2015 è stato l’oggetto di un esperimento condotto a bordo della Stazione spaziale internazionale (Iss), chiamato Tanpopo. L’idea era quella di esporre fuori della stazione orbitante pannelli contenenti piastre batteriche per testarne la sopravvivenza in questo ambiente estremo, in particolare la sopravvivenza alla radiazione con una lunghezza d’onda maggiore ai 200 nm.

Il 16 maggio 2000 la stampa riportava la notizia che un geologo italiano, il prof. Carlo Alberto Ricci, si apprestava a collaborare con la Commissione Scientifica Internazionale per l’Antartide, nell’ambito delle ricerche volte a riportare in superficie una particolarissima specie di “protobatteri”, localizzati dalla base permanente russa di Vostok nel 1994 nelle acque di un lago sotterraneo (lungo 200 km., largo 50 e profondo 500 metri), a 4.000 metri di profondità sotto i ghiacci dell’Antartide. Questo tipo di batteri sarebbe sopravvissuto per 500.000 anni in ambiente particolarmente ostile alla vita: al buio più totale, ad una temperatura di 2-3 °C sotto lo zero e ad una pressione di 400 atmosfere !

A tale ricerca si sono mostrate molto interessate anche le Agenzie Spaziali di vari Paesi, in quanto la situazione del lago custodito per millenni sotto un enorme spessore di ghiaccio potrebbe rivelarsi del tutto analoga a quella ipotizzata su Europa (uno dei satelliti di Giove) e sotto le calotte polari di Marte.

Come si può vedere, dunque, il problema si sposta, ma non si risolve…


I TARDIGRADI sono un phylum di “invertebrati protostomi celomati”. La loro capacità di sopravvivere in condizioni estreme è particolarmente sviluppata: sono in grado di affrontare e superare condizioni che sarebbero letali per quasi tutte le altre entità biologiche, resistendo in particolare a:

             mancanza d'acqua (possono sopravvivere quasi un decennio in condizioni di totale disidratazione);

             temperature alte o bassissime (possono resistere per pochi minuti a 151 °C, per parecchi giorni a -200 °C (~73K) o per pochi minuti a ~1K);

             alti livelli di radiazioni (anche centinaia di volte quelli che ucciderebbero un uomo);

             basse o alte pressioni (anche sei volte maggiori a quelle dei fondali oceanici);

             mancanza di ossigeno;

             raggi UV-A e, alcuni tipi, perfino ai raggi UV-B.

             Se posti in condizioni avverse come quelle sopra elencate, questi minuscoli invertebrati (0,1–1,5mm.) sviluppano una serie di meccanismi difensivi che vanno dall’incistidamento alla sospensione di ogni attività metabolica visibile (criptobiosi).


La «Kristianstad University» svedese ha prelevato in Kazakistan alcuni esemplari di tardigradi, che sono stati lanciati nello spazio, a bordo della sonda FOTON-M3 dell'European Space Agency (ESA), il 14 settembre 2007 dal cosmodromo russo di Baikonur. Collocati nel modulo Biopan 6, sono rimasti in orbita terrestre per 12 giorni, esposti alle radiazioni ionizzanti, allo scopo di testarne la resistenza nel vuoto cosmico. L’esperimento ha dimostrato come alcuni esseri viventi possano sopravvivere nello spazio in condizioni estreme e, proprio per questo, vengono definiti «estremofili» o «poliestremofili».

                                           Reticolo Internazionale Radiotelescopi del SETI

             COSA SIGNIFICA «ALIENO» ?

             Deriva dal latino «ALIUS» = che appartiene ad altri, per estensione = «estraneo»

             Nella terminologia legale, infatti, il termine «vendere» viene sostituito con «alienare», rispettando l’originale accezione latina

             Ma «estraneo» a cosa ?

             Data ormai per (quasi) certa l’assenza di entità biologiche superiori nel nostro sistema solare, dobbiamo guardare oltre…


                                                           “La più bella e profonda emozione

                         che possiamo provare è il senso del mistero;                                                                       

                                                            sta qui il seme di ogni arte,

                                                            di ogni vera scienza”.

                                                          (A.Einstein)

domenica 19 settembre 2021

UAP: AVVISTAMENTO A PONTEDECIMO (GE) - 8 OTTOBRE 2019 - VIDEO

 

Avvistamento a Pontedecimo (delegazione di Genova-nord)

martedì 8 ottobre 2019, ore 20.00 circa

Il seguente avvistamento è stato riferito da S.C., quarantenne, insegnante di canto.

“Una luce, piuttosto vicina, simile ad una stella, si muove sopra il tetto di un palazzo di fronte a me (cfr. fermo immagine del filmato). Mi fermo, perché sto camminando, e guardo la luce: noto che, come se mi avesse visto, si ferma e poi d’improvviso si sposta velocemente, cambiando la sua direzione; da dritto vira verso la piazza, verso di me, dove mi trovo, poi si ferma, quasi allo zenit, sulla mia testa.

Subito arriva un’altra luce, dal lato opposto da dove è comparsa la prima, e si mette in linea con quest’ultima. Rimangono entrambe ferme, una di fronte all’altra, leggermente oblique. Prendo il telefono e, nel tempo in cui compio questa operazione, rimangono ferme. 

Appena inizio a riprendere con la videocamera, le due luci iniziano a muoversi insieme, lentamente, sempre una di fronte all’altra, in senso antiorario come fossero una cosa unica. Poi non riesco più a mantenere l’immagine nello schermo del telefono, perché sembra che inizino ad allontanarsi l’una dall’altra: quindi sposto lo sguardo al cielo ed ecco che, da sinistra, arriva velocemente un’altra luce.

Poi ne vedo altre due, in totale ho contato cinque luci: le due luci fisse hanno continuato a muoversi lentamente, uscendo dal “target” dello schermo. Così ho spento la telecamera, non riuscendo a riprendere più nulla.


IL VIDEO DELL'AVVISTAMENTO

Ho fissato il cielo: tutte le luci si sono allontanate, le due fisse hanno proseguito l’una verso San Cipriano, a sud, e l’altra verso Genova, ad est; le ultime tre che ho visto sono scomparse quasi subito. Nella piazza da cui sto osservando l’inconsueta “danza” c’è solo un’altra persona, che non credo si sia accorta del fenomeno, ma notando me che inquadravo con lo smartphone, ha rivolto anche lei lo sguardo al cielo, ma non so se sia riuscita a distinguere i globi luminosi.


Ho ripreso l’auto per rientrare ed ho scelto una stradina poco trafficata, tra le colline, al riparo dall’inquinamento luminoso della città, che accorcia di molto il percorso verso casa. Ho attraversato il paesino di Torrazza, ho fatto una piccola deviazione verso Casanova e mi sono fermata in un punto piuttosto buio. Nel cielo sopra di me ho visto ancora quattro o cinque luci, ora molto più in alto, più distanti e meno luminose, che si muovevano lentamente, dopo di che sono scomparse.

Sono risalita in auto e sono ripartita verso casa. Mentre guidavo, la sensazione che mi è rimasta dopo l’avvistamento potrei descriverla come di contentezza, con l’idea che si volessero far vedere da me”.

 

Genova, 12.03.2020                    Emilia Ventura Balbi – Coordinatrice CUN Liguria    

sabato 11 settembre 2021

AGOSTO 2019: AVVISTAMENTO ...UFO A FAENZA

 


di GIORGIO PATTERA

Borgo Tuliero, Faenza (RA), 18 agosto 2019, ore 20.00.

Il sole comincia a tramontare di fronte alle colline di Brisighella, bassa Valle del Lamone, alle pendici dell'Appennino tosco-romagnolo, illuminando con fulvi bagliori l’accogliente e deliziosa villa dei coniugi S.O. e E.Z. (identità complete riservate al CUN, secondo la volontà dei testimoni, ex-D.L.196/2003).

Due squisiti ospiti e persone non comuni, del tutto concrete e dal background culturale alto ma, giocoforza ed “obtorto collo”, aperte ad ogni tipo di evento, anche se obiettivamente inquietante e dalla non semplice interpretazione, com’è capitato a loro: lei, Libera Professionista nel settore della Comunicazione, lui Infermiere professionale con lunga esperienza alle spalle.

Intorno al tavolo presente in giardino, siedono davanti a loro gli inquirenti: Giorgio Pattera, biologo e giornalista di Parma, ma di passaggio in zona, responsabile del CUN (Centro Ufologico Nazionale) per l’Emilia, nonché consulente scientifico per le analisi bio-fisico-chimiche e l’amico Domenico Azzone, 1° Maresciallo in congedo dell’Aeronautica Militare, con oltre 30 anni di attività tra il Centro Radar N.A.T.O. di Poggio Renatico (FE) e l’Aeroporto Internazionale “Marconi” di Bologna. 

Iniziamo a registrare il resoconto testimoniale del recente avvistamento, in data 7 agosto 2019, ma la famiglia in oggetto sembrerebbe (il condizionale è d’obbligo) non essere nuova ad “incontri ravvicinati” di 1° e 2° tipo, come si evincerà dall’esposizione dei fatti: un classico caso di “repeater”...

Ma procediamo con ordine.

Come detto, mercoledì 7 agosto 2019, alle ore 21.14 precise (orario rilevato dai metadati delle foto digitali scattate dalla signora col suo smatphone), comodamente seduti nello stesso giardino in cui ci troviamo ora, si godono il fresco della sera, dopo una giornata d’intensa calura, tre testimoni: la signora S., il signor E. ed il signor B.G., amico di famiglia. La prima ed il terzo sono rivolti ad ovest, dove il disco solare è già sceso dietro le colline, mentre il sig.E. è l’unico con lo sguardo rivolto ad est, dove il cielo, completamente libero da nubi ed in assenza di vento, si sta lentamente oscurando. All’improvviso il sig.E. richiama l’attenzione degli altri due, gridando “E quello cos’è? Venite a vedere l’UFO...!!!” (memore di quanto visto quattro anni prima, quasi ad esorcizzare l’ansia che stava montando... - n.d.r.).


Due globi luminosi, che procedevano insieme linearmente ma non in formazione, uno avanti e l’altro dietro, di dimensioni maggiori di quelle di Giove (particolarmente brillante in questo periodo, ma non visibile a quell’ora in quella porzione di cielo), sono comparsi a circa 30° sull’orizzonte, fra il tetto della casa (cfr. foto) ed il crinale delle colline retrostanti, il tutto nel silenzio più assoluto. Il colore che emanano è dapprima bianco-brillante, poi cambia in arancione ed infine in rosso. Dopo il primo attimo di stupore, il sig. E. fa quella cosa che avrebbe dovuto fare anche in occasione del precedente avvistamento del 2015, ma di cui era stato inibito dal concitato spavento che lo colpì: corre in casa e prende il binocolo (un Breaker 12x60, astronomico, cfr.foto), col quale osserva meglio il fenomeno.



Il globo più grande appare di color rosso-intenso nella corona circolare, più sfumato al centro; anche la moglie, accorsa nel frattempo, riesce a scattare alcune foto col cellulare, prima che entrambi i globi “spariscano” (come lo spegnersi d’una lampadina...): il primo effettuando una specie di curva, mentre il secondo, senza effettuare virate, è apparso come “spegnersi” all’interno di un “qualcosa” simile ad una “nube sigariforme, di circa un centinaio di metri di lunghezza” (secondo la stima della signora), che antecedentemente l’inizio del fenomeno non esisteva.


La durata del fenomeno è stata stimata in 2-3 minuti, trascorsi come detto nel più assoluto silenzio: ma un silenzio “particolare”, quasi irreale, nel senso che non solo la comparsa, l’evoluzione e la scomparsa dei due globi luminosi è avvenuta senza la produzione di alcun rumore (sibilo, ronzio, motore di aereo o elicottero, fruscio di vento, stormire di fronde, ecc.), ma anche i normali rumori notturni della natura e dei boschi circostanti (latrare dei cani, frinire dei grilli, squittìo della civetta e quant’altro) si sono improvvisamente “interrotti”, per poi riprendere normalmente subito dopo: quello che in gergo ufologico si definisce “animazione sospesa”... 

Conseguenze psico-fisiche subite dai testimoni.

Mentre il sig. E. dichiara di essersi ripreso da alcuni modesti malesseri che accusava nei giorni precedenti l’avvistamento (dolori lombari e muscolari, derivati dall’attività lavorativa e dall’età), sensazione di benessere che si protrae attualmente, la moglie presenta invece una situazione più seria e complessa. L’indomani la signora accusa un forte mal di testa e molta tensione al capo, al collo ed alla nuca, con rigidità cervicale, accompagnata (ed è questa la sintomatologia più inspiegabile) da un notevole quanto immotivato aumento ponderale: la bilancia segna, al mattino successivo, + 2 kg, certamente non imputabili all’alimentazione in un contesto temporale così immediato (come tutte le donne, anche S. è molto attenta al peso, controllato ogni mattina). Molto preoccupata dalla sgradita quanto inaspettata sorpresa, chiede aiuto ad un’amica (Alessandra, masso-fisio-terapista laureata), la quale, sospettando una ritenzione idrica, le pratica una serie di massaggi con la tecnica Ayurvedica, riscontrando così il blocco di uno dei sette chakra. La terapia si rivela mirata, in quanto, applicata per una decina di giorni, risolve la situazione patologica nei giorni tra il 17 e il 18 agosto, poco prima dell’arrivo degli inquirenti. Interrogata su altre particolari manifestazioni, del tipo: irritazione oculare, infiammazione alla gola, epistassi e/o pigmentazioni cutanee anomale, la risposta della signora è stata negativa. Ricorda però d’aver avuto un processo di ricostituzione epidermica che potrebbe risultare normalmente spiegabile, ma che anche il marito, infermiere, considera “troppo accelerato”. Dettaglio che, del resto, la casistica in letteratura ufologica riporta frequentemente (cfr. episodi similari riportati nel volume scritto da Giorgio Pattera “UFO: vent’anni di indagini e ricerche...”, pagg.113-117). Chiariamo: la signora, il giorno precedente l’avvistamento, aveva avuto un piccolo incidente in bicicletta (caduta e conseguente escoriazione a livello mediano della tibia della gamba dx). La susseguente cicatrice si era infettata, producendo pus, tanto da indurre il marito infermiere a medicarla mediante garze alla Connettivina; intervento che sortiva l’effetto desiderato (guarigione completa della cicatrice) in un tempo molto breve (24 h.) rispetto alla norma (7-10 gg.). Ma sul discorso causa-effetto, circa l’avvistamento del presunto UFO, non ci sentiamo di insistere, in quanto le facoltà rigenerative del corpo umano restano comunque sbalorditive...

Considerazioni “a latere”.

La signora, richiesta in proposito, riferisce che il padre, pur essendo un uomo “coi piedi per terra” (manager in ambito economico-finanziario), era comunque portato all’osservazione del cielo: sapeva riconoscere pianeti, stelle, costellazioni ed era intellettualmente curioso della vita nel Cosmo. Aggiunge anche la presenza d’un sogno ricorrente e, per lei, angosciante, dall’età di tre anni, che si è protratto fino all’adolescenza: “il perimetro di un rombo, fatto di luce, ma all’interno del quale c’era il buio, che si contraeva, allargandosi e restringendosi elasticamente, che si dirigeva verso di me...”. Rispetto al precedente avvistamento del 2015, di cui riferiamo in seguito, in questo caso la signora non è rimasta eccessivamente turbata, tuttavia ha manifestato la volontà di non vivere nuovamente emozioni del genere. Il marito, al contrario, desidera, anzi, VUOLE assistere nuovamente a tali fenomeni, tanto da auspicarne decisamente la reiterazione... 

IL PARERE DELL’ASTROFILO

Dalle mappe celesti fra nordest e sudest, centrato su est, in questo campo di 90° di visione, anche in considerazione dell'ora con cielo ancora chiaro, solo due stelle, Altair e Deneb, possono essere visibili, ma sono bianche e a 40°-60° gradi di altezza. I pianeti Saturno e Giove, luminosi e ben visibili, sono molto lontani a sud rispetto alla zona est e sono molto lontani fra loro rispetto agli oggetti delle foto. In ogni caso stelle e pianeti non si muovono così velocemente! In teoria, se gli oggetti si muovessero da sinistra a destra, si potrebbe supporre che ipotetici satelliti in coppia, per effetto della luce solare, ad ovest passino dal bianco al rosso, ma la ISS è l'unico satellite che può avere tale luminosità. Un solo oggetto quella sera è passato dalle 21:03 alle 21:08 basso a sud-ovest, quindi considerando che gli atri satelliti in quei minuti non erano visibili ad occhio nudo, gli oggetti non erano satelliti. Una delle foto, anche se sfocata, dà il senso di un oggetto sferico circondato da alone. Non sono stelle o pianeti, quindi possono essere solo UFO nell’accezione originale dell’acronimo, nel senso di oggetti volanti non identificati, forse a guida intelligente. Questo il mio parere in base agli elementi forniti.

Claudio Balella

 

lunedì 9 agosto 2021

MELATONINA, TRAGHETTO per L’INFINITO…

 


                                                             di GIORGIO PATTERA

Chi scrive ha avuto modo di occuparsi, in un recente passato (1), dei neurotrasmettitori (serotonina, dimetiltriptamina, encefaline, endorfine), cioè di quei neuropeptidi ad azione psicoattiva, prodotti a livello encefalico e non solo, in grado di indurre nella “mente” dell’individuo uno stato alterato di coscienza, durante il quale sarebbe possibile (il condizionale è d’obbligo) accedere ad altre dimensioni, al di là di quella umana; dimensioni che abbiamo ipotizzato “parallele”.

Anche altri ricercatori (come Brian O’Leary) ritengono che solo mediante uno stato alterato di coscienza, tipo quello indotto dalle endorfine e dalla DMT, si possano superare barriere apparentemente insormontabili, quali spazio, tempo e dimensioni extra-reali (2).

Di conseguenza i suddetti mediatori chimici, come asserisce giustamente il Prof. Montecucco, si possono considerare come vere e proprie “molecole psichiche”, in quanto non veicolano solo informazioni ormonali e metaboliche, ma anche emozioni e stati psicofisici (paura, ansia, dolore, ira, piacere), ciò che comunemente chiamiamo “sentimenti”. In altre parole, quando si prova piacere significa che il cervello produce sostanze che danno benessere; quando si è in depressione, è perché nel cervello vengono a mancare certe sostanze, com’è stato accertato anche nel caso delle tossicodipendenze; quando si ride, vuol dire che il cervello produce sostanze chimiche che inducono il buon umore: proprio per questo le endorfine sono state definite “le molecole della gioia”.

Prima di approfondire il presente studio, tengo a sottolineare un paio di concetti fondamentali: cosa non è la melatonina e cosa non si deve intendere per “stato alterato di coscienza”.

I mediatori chimici neuro-ormonali a produzione endògena (cui appartengono la melatonina e quelli citati in apertura) non sono allucinogeni. Si definiscono allucinogene, infatti, quelle sostanze (comunemente definite “droghe”, quasi tutte di origine vegetale ed oggi largamente sintetizzate) che determinano nel soggetto una condizione patologica, devastante ed alla lunga irreversibile, che si esplica con la percezione modificata della realtà. Di grande aiuto per l’interpretazione dell’attività dei neuropeptidi, si è rivelata proprio la comprensione del meccanismo d’azione degli allucinogeni, che hanno avuto nella storia dell’umanità un’indiscutibile importanza nell’espansione della coscienza. Questo ha fatto comprendere ai neuroendocrinologi che nel sistema nervoso centrale dell’uomo esistono, in siti specifici, recettori e molecole atti all’espansione della coscienza, qualora vengano a contatto con sostanze psichedeliche. Esistono tuttavia altre sostanze, ugualmente naturali ma prodotte spontaneamente dalle strutture encefaliche, che interagiscono con gli stessi recettori d’ancoraggio degli allucinogeni introdotti dall’esterno: queste sostanze sono costituite per l’appunto dai neuropeptidi.

La definizione “stato alterato di coscienza” sta ad indicare non una patologia, bensì una condizione transitoria in cui viene a trovarsi la psiche del soggetto. Soggetto non succube dell’effetto di droghe (naturali o sintetiche), ma che, mediante l’incremento temporaneo della produzione autonoma di neuro-ormoni, riesce ad “amplificare” la gamma delle proprie facoltà percettive dimensionali: un po’ come se ad un televisore si consentisse di ricevere ulteriori frequenze…

La “Coscienza”, infatti, viene intesa come la “facoltà di percepire il significato di un’informazione”; le informazioni creano la coscienza e l’alimentano. A sua volta la coscienza filtra le informazioni, le elabora e le confronta col data-base in suo possesso per giungere all’identificazione: gli psicologi, infatti, a seguito di studi approfonditi condotti nei laboratori di ricerca di tutto il mondo, sono giunti alla conclusione che “la mente dell’uomo non dimentica alcun fatto od evento trascorso”.

Cosa c’entra tutto questo, ci si potrebbe chiedere, con la tematica esobiologica in generale e con la ricerca di altre forme di vita intelligente nel Cosmo? La risposta è relativamente semplice, purché si accetti un assunto molto importante: l’approccio col problema dell’esistenza o meno di entità aliene e della loro presunta interferenza con le vicende umane va considerato parallelamente allo studio dell’uomo e in particolar modo delle sue facoltà psichiche regredite e/o sopite. A questo proposito va ricordato che le culture di tutte le civiltà, siano esse orientali o appartenenti al bacino del Mediterraneo, contemplano nei loro canoni il concetto secondo il quale “esseri superiori, simili all’uomo e venuti dal cielo, colonizzarono la Terra, sulla quale dovranno ritornare…”.

Ancora: recenti indagini demoscopiche, condotte sia negli Stati Uniti che in Europa, hanno evidenziato con sorpresa (ma non per gli esobiologi) che una percentuale molto alta delle persone interpellate, vicina al 60%, è fermamente convinta non solo dell’esistenza di altre forme di vita nel Cosmo, ma anche della loro presenza (attuale o trascorsa) sul nostro pianeta. Il sondaggio ha rivelato dunque che la questione extraterrestre è uno stato di consapevolezza, uno status coscienziale che, in quanto tale, non può che alloggiare nell’interiorità dell’uomo: e quindi deve esistere la possibilità di sperimentarlo.

E in che modo sperimentarlo scientificamente, se non utilizzando il cervello? E se utilizziamo il cervello, è chiaro che in esso devono esistere delle strutture neurochimiche capaci di “traghettarci” sulle rive dell’infinito e dell’eternità.

Finora ci eravamo occupati di quelle molecole psicòtrope, il cui incremento nell’organismo del testimone potrebbe costituire una condizione favorevole ai contatti del 4° tipo; contatti che vedono gli involontari protagonisti delle “abductions” ricoprire un ruolo del tutto passivo nei confronti delle presunte entità aliene.

Come mai, ora, siamo passati allo studio di un neurotrasmettitore che permetterebbe all’organismo di sintonizzarsi “motu proprio” con una nuova dimensione, diversa da quella umana, in cui probabilmente si muovono gli extraterrestri?

Questa “inversione direzionale” è dovuta, manco a farlo apposta, proprio ad un’espansione di coscienza (quella dello scrivente), nel senso che fino a qualche tempo fa non ero a conoscenza di un interessante volume, «Melatonina - ormone degli Dei», scritto dal concittadino Dr.Giancarlo Rosati.

Epifisi, melatonina e “terzo occhio”

L’epìfisi (o ghiandola pineale) è un piccolo organo, a forma di pigna (da cui il nome), di circa 8 millimetri di lunghezza e di 150 milligrammi di peso, situato al centro dell’encefalo, fra i due emisferi. La possiamo localizzare tracciando una retta che, partendo dalla radice del naso, attraversa la fronte e s’incrocia con una seconda linea, tracciata a partire dall’orecchio esterno. E’ singolare il fatto che numerosi protagonisti di “incontri ravvicinati” di 3° e 4° tipo, secondo la classificazione dell’astrofisico J.A.Hynek, sottoposti a radiografie del cranio per i motivi più svariati, hanno evidenziato “impianti” di natura sconosciuta (microchips) in corrispondenza della radice del naso.

Fin dai tempi di Aristotele (384 – 322 a.C.) questo minuscolo ed apparentemente insignificante organo è stato oggetto di curiosa attenzione nella storia della medicina. L’esatta natura ed il suo significato, tuttavia, restano tuttora in gran parte sconosciuti. Molti tentativi sono stati fatti per identificare in essa una formazione dotata di funzione endòcrina specifica, ma sia le ricerche sperimentali che quelle cliniche non hanno ancora fornito dati sicuri; è forse per questo motivo che lo studio della straordinaria ghiandola è stato accantonato e trascurato per molto, troppo tempo. I mistici, i sensitivi e tutti quei soggetti dotati spontaneamente di facoltà paranormali (i quali, forse, albergano inconsciamente un’elevata capacità di secrezione melatoninica) hanno da sempre identificato la ghiandola pineale con il cosiddetto “terzo occhio”, in cui René Descartes (Cartesio), in epoca pre-illuministica, poneva la “sede dell’anima”.

I paleontologi, ricostruendo il percorso evoluzionistico degli animali, hanno accertato che l’epìfisi nei vertebrati inferiori costituiva una sorta di “occhio termico”, sensibile alla luce ed al calore (qualcosa di simile è rimasto - occhio mediano o pineale - nella lampreda, un pesce che, pur essendo dotato di organi visivi, risulta cieco per i primi 6 anni di vita e quindi si “aiuta” con questa specie di occhio termico per riconoscere le particelle organiche sospese nell'acqua, con cui si nutre).

Si tratterebbe quindi d’un “orologio biologico”, controllato dalla luce, che lega l’organismo all’ambiente: in altre parole, la ghiandola consentirebbe all’organismo stesso di sopravvivere in ambienti diversi, modificandone le funzioni in rapporto alle condizioni circostanti; garantirebbe in fondo la sopravvivenza. Quella, in particolare, dei presunti “addotti”, catapultati loro malgrado in una dimensione dai canoni non coincidenti con quelli vigenti sul nostro pianeta? La domanda ci sembra pertinente, anche se, almeno per il momento, è destinata a non ottenere risposta…

Attualmente le si vuole comunque attribuire un’influenza diretta sullo sviluppo psico-fisico dell’Uomo, attraverso una sua secrezione ormonale: la melatonina.


La melatonina, chimicamente, è un derivato dell’indolo e viene sintetizzata nell’epìfisi a partire dalla serotonina (di entrambi questi precursori ci siamo già occupati nei lavori citati in precedenza).

E’ immessa in circolo in modo ritmico in funzione dell’alternanza luce-buio e la sua concentrazione, in tutti i mammiferi, è più elevata nelle ore notturne che in quelle diurne. Risulta pertanto un “sincronizzatore circadiano”, in grado, fra l’altro, di minimizzare gli effetti perturbativi conseguenti al repentino cambiamento di fuso orario. Si è anche dimostrata capace di svolgere un’azione protettiva nei confronti dei radicali liberi, per cui le è stato conferito il ruolo di “detossificante naturale”. Alcuni ricercatori avrebbero inoltre individuato in essa spiccate proprietà, tipiche dei neurotrasmettitori, quali l’influenza sul ciclo veglia-sonno, sulle reattività comportamentali, sulla regolazione immunologica dell’attività antitumorale, sulla termoregolazione e sulla senescenza cellulare.

Indubbiamente gli studi sulla melatonina riserveranno ancora molte sorprese: proprio per questo essa continua a suscitare crescente interesse in campo medico e farmacologico. Oggigiorno, tuttavia, le preparazioni in commercio a base di melatonina risultano per lo più sottodosate, per cui, se da un lato ciò assicura l’assenza di effetti collaterali indesiderati, dall’altro non dovrebbe consentire di ottenere nulla di più che la regolazione del ciclo sonno-veglia. Ma alcuni ricercatori si spingono oltre, fino a sostenere che l’assunzione regolare e prolungata di opportune dosi di melatonina possa consentire l’accesso ad uno stato alterato di coscienza, la cosiddetta “coscienza superiore” o “coscienza espansa”, riscontrata e riscontrabile fisiologicamente negli individui soggetti a “trance” (dal latino transìre = andare oltre) od “estasi mistica”.


La produzione di melatonina, come nel caso delle endorfine, è inversamente proporzionale all’età: è massima nell’infanzia, ha una flessione nell’adolescenza e decresce sensibilmente con la vecchiaia; per esemplificare, intorno ai 45 anni già si riduce della metà.(3) Anche questo fattore potrebbe supportare il dato di fatto, secondo cui la stragrande maggioranza di coloro che asseriscono d’esser entrati in contatto diretto con “entità ultraterrestri” (siano esse divinità o alieni) rientra in una fascia d’età assolutamente giovanile.

La qual cosa, tuttavia, ha come rovescio della medaglia la scarsa credibilità e considerazione che tali testimoni riescono ad ottenere dagli adulti, in virtù della “fantasticheria” propria dell’età.

Occorre non confondere, vista l’assonanza, la melanina con la melatonina; la prima, infatti, è un pigmento bruno, prodotto da specifiche cellule epiteliali (melanociti) ed è stimolato dall’esposizione alle radiazioni solari o artificiali (abbronzatura), mentre la seconda si comporta al contrario: schiarisce la pelle (negli anfibi), viene inibita dalla luce e stimolata dall’oscurità e pertanto la sua produzione avviene in massima parte di notte (fra l’una e le cinque, come per le endorfine), allorché la luce non interagisce con i fotorecettori retinici. Anche questo potrebbe giustificare la statistica relativa ai “contatti” fra i testimoni ed i presunti alieni, statistica che conferma la prevalenza notturna di questi eventi.

Ma siamo veramente certi di queste “scoperte”, nel senso che: siamo sicuri di essere i primi ad averle realizzate?

Il pensiero di Anassàgora

Se ripercorriamo a ritroso la storia delle Scienze, ci accorgiamo che molte delle cosiddette “scoperte”, frutto di faticosi anni d’indagini e ricerche, sono in realtà nient’altro che ri-scoperte: un po’ come le facoltà sopite e/o regredite del cervello umano, di cui accennavamo all’inizio…

Un esempio?

Antoine Laurent Lavoisier, illustre chimico francese (Parigi, 1743 – 1794), giunse a formulare la celebre teoria, oggi confermata dalla fisica quantistica, secondo cui "rien se perd, rien ne se crée" (nulla si crea, nulla si distrugge, ma tutto si trasforma); la qual cosa, tuttavia, non lo salvò dalla ghigliottina, grazie all’intelligenza (?) dei suoi simili, intesi come esseri umani, ma non altrettanto dal punto di vista politico.

Tanto che il grande matematico Joseph Louis Lagrange (torinese, nonostante la modificazione del cognome e noto, fra l’altro, per l’omonimo “punto del non-ritorno”, applicabile oggi a certa stupidità umana…) così commentò la sua scomparsa: “E’ bastato un attimo per far cadere quella testa, ma forse cent’anni non saranno sufficienti perché ne sorga un’altra simile”.

Ma se retrocediamo ancora maggiormente, non possiamo far a meno di constatare che la prima, geniale intuizione della “legge di conservazione della massa” è ben più antica, databile addirittura prima di Cristo.

Si deve infatti al filosofo Anassàgora (500 – 427 a.C.), esponente di spicco dei “pluralisti” insieme con Empedocle e Democrito ed in antitesi con la corrente di Eràclito e Parmenide, il motto che la tradizione attribuisce alla scuola di pensiero denominata, per l’appunto, “pluralistica”: «nulla si crea e tutto si trasforma». Il che equivale a dire che «in ogni cosa c’è una particella di ogni cosa», ovverosia «il tutto è in tutto». Tradotto in termini moderni, potrebbe equivalere al concetto di “molecola” e di “cellula”: ogni entità definita è tuttavia composta dall’insieme di diversi elementi. Concetto ardito per quei tempi ed in seguito ripreso da Tito Lucrezio Caro (99 – 53 a.C.) nel “De rerum natura”.

Amico di Pericle e maestro di Socrate, Anassàgora può essere ritenuto il fondatore della “naturae historia”, ovvero della descrizione-narrazione della storia dell’Universo a partire dalle sue origini. Fu il primo ad affermare che “il sole è una massa incandescente e la luna un’ammasso terroso”, e non “divinità” cui offrire sacrifici e consacrare feste, come sosteneva la tradizione mitica dell’antica Grecia. Per questo fu accusato di “empietà” (l’eresia di Galileo, all’epoca di Papa Urbano VIII), processato ai sensi del “decreto del vate Diopite”, che perseguiva “tutti coloro che insegnano e divulgano cose empie al riguardo dei fenomeni celesti, che devono essere considerati come ammonimenti inviati dagli dèi agli uomini” (gli odierni “crop circles”?) e quindi condannato a morte.

La stessa sorte toccata a Lavoisier, ma, fortunatamente per il filosofo greco, commutata poi in esilio grazie all’intercessione dell’amico Pericle. Il tutto a riprova che la Scienza non ha mai goduto (e non gode tuttora) né dei favori popolari né dell’approvazione delle forze più retrive e superstiziose, in particolare dei centri cosiddetti “magici” e delle “sette religiose”. Ma, ad onor del vero, pure di certe istituzioni conservatrici, materialistiche ed esasperatamente positiviste, tese opportunisticamente a mantenere il proprio “status quo” e ad ostacolare la soddisfazione più gratificante della vita umana: quella di scoprire chi siamo, donde veniamo e dove andiamo (T.Moreux, 1867 – 1954, direttore dell’osservatorio astronomico di Bourges, città francese gemellata con Parma).

Ma ciò che più sorprende nel pensiero di Anassàgora è che, già 2500 anni fa, l’Uomo era giunto attraverso il “nous” (l’intelletto, la mente) a concepire l’idea secondo la quale, se nel Cosmo vige la legge della “presenza del tutto in tutto” (oggi diciamo: gli elementi fondamentali che costituiscono il Cosmo sono gli stessi, dappertutto, ed i cànoni cui sottostanno sono universali), questo processo naturale, cioè quello della comparsa della Vita, deve necessariamente ed inevitabilmente essersi compiuto anche altrove.


Troviamo così in Anassàgora, in termini che dovevano apparire sconcertanti agli occhi dei contemporanei (se non addirittura blasfemi, come abbiamo visto), la tesi della pluralità dei mondi abitati, che verrà in seguito sviluppata dal Fontenelle (Entretiens sur la pluralità des mondes, 1686)

e dal domenicano Giordano Bruno (De l’infinito universo et mondi, 1584): in quest’ultimo caso, con le conseguenze ben note cui gli eretici andavano incontro…

”Stando così le cose, bisogna supporre che in tutti gli aggregati ci siano molte cose di ogni genere e semi di tutte le cose, aventi forme e colori e sapori d'ogni genere. E che gli uomini siano stati in tal modo composti e così pure gli altri animali che hanno vita, e che questi uomini abbiano città abitate ed opere costruite, come da noi, e abbiano il sole e la luna e tutto il resto, come da noi, e che la terra produca per loro molte cose e di ogni genere, che essi usano portando le migliori a casa”.

(Anassàgora, “Sulla natura”, DK 59 B 4)

«A chi gli domandava perché non si interessasse della sua patria, Clazomène (città della Ionia – N.d.R.), Anassàgora rispose che invece se ne preoccupava moltissimo, indicando il cielo…»

Concludendo: spesso ciò che la mente immagina si rivela, nel tempo, realtà: Giulio Verne docet…

L’intuizione precede le scoperte e pertanto, nonostante questa ricerca non sia nulla più d’una mera “ipotesi di lavoro”, non si può escludere a priori che, progredendo negli studi sulla ghiandola pineale, si scopra un giorno che le sostanze ormonali da essa prodotte corrispondono a quelle stesse che, fin dalla notte dei tempi, consentivano ai nostri antichi progenitori (che ancora osiamo definire “primitivi”) di accedere ad uno stato alterato di coscienza, nel corso del quale venivano proiettati, anche se transitoriamente, all’espansione della coscienza stessa e, quindi, alla percezione dell’Infinito.

Facoltà, questa, che dorme profondamente, sepolta nei meandri cerebrali dell’Homo “tecnologicus”…


NOTE:

1)      «La percezione visiva nei fenomeni paranormali», 1997; «DMT: passaporto per dimensioni parallele?», 1998; «Endorfine & impianti alieni: un connubio obbligato?», 1999 

2)      «It is possible that the mere act of inducing altered states of consciousness with regard to our inner space can create the extraordinarily real experience of movement at will through space, time and other dimensions, just as our alleged UFO visitors appear to be able to operate with regard to outer space?» - Brian O’Leary (Ph.D. in astronomia a Berkeley - California University, consulente NASA per i progetti Apollo e Mariner

3)      Curioso è l’analogia fra la produzione di melatonina e la capacità di “scendere” a livello del ritmo alfa, entrambe appannaggio dell’età infantile. Dato che nella fanciullezza (approssimativamente fra i cinque e i dieci anni) ognuno di noi si è trovato nella sfera del ritmo alfa e dato che nello stesso ritmo alfa ci ritroviamo ogni notte, durante il sonno, è evidente che “possediamo” tale “capacità” anche adesso, in età adulta. 

 

BIBLIOGRAFIA

G.Rosati – MELATONINA: ormone degli dèi – Edizioni Milesi, Modena / 2002

M.Bonazzola – DINAMICA MENTALE – CIDMEPA / Italia, Bergamo 1984

Brian O’Leary – EXPLORING INNER and OUTER SPACE – North Atlantic Books, Berkeley / 1989

J.Gribbin – DIZIONARIO di FISICA QUANTISTICA – Macro Edizioni, Cesena / 2004

E.Santaniello – ENCICLOPEDIA della CHIMICA – Garzanti, Milano / 1998

P.B. & J.S. Medawar – DIZIONARIO FILOSOFICO DI BIOLOGIA – A.Mondatori Saggi, Milano / 1986

Tito Lucrezio caro – DE RERUM NATURA – Rizzoli, Milano / 1996

 

 

 

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