di GIORGIO
PATTERA
Chi scrive ha avuto modo di occuparsi, in un recente passato (1), dei neurotrasmettitori (serotonina, dimetiltriptamina, encefaline, endorfine), cioè di quei neuropeptidi ad azione psicoattiva, prodotti a livello encefalico e non solo, in grado di indurre nella “mente” dell’individuo uno stato alterato di coscienza, durante il quale sarebbe possibile (il condizionale è d’obbligo) accedere ad altre dimensioni, al di là di quella umana; dimensioni che abbiamo ipotizzato “parallele”.
Anche altri ricercatori (come Brian O’Leary) ritengono che solo mediante uno stato alterato di coscienza, tipo quello indotto dalle endorfine e dalla DMT, si possano superare barriere apparentemente insormontabili, quali spazio, tempo e dimensioni extra-reali (2).
Di conseguenza i suddetti
mediatori chimici, come asserisce giustamente il Prof. Montecucco, si possono
considerare come vere e proprie “molecole psichiche”, in quanto non veicolano
solo informazioni ormonali e metaboliche, ma anche emozioni e stati psicofisici
(paura, ansia, dolore, ira, piacere), ciò che comunemente chiamiamo
“sentimenti”. In altre parole, quando si prova piacere significa che il
cervello produce sostanze che danno benessere; quando si è in depressione, è
perché nel cervello vengono a mancare certe sostanze, com’è stato accertato
anche nel caso delle tossicodipendenze; quando si ride, vuol dire che il
cervello produce sostanze chimiche che inducono il buon umore: proprio per
questo le endorfine sono state definite “le molecole della gioia”.
Prima di approfondire il presente
studio, tengo a sottolineare un paio di concetti fondamentali: cosa non è la
melatonina e cosa non si deve intendere per “stato alterato di coscienza”.
I mediatori chimici
neuro-ormonali a produzione endògena (cui appartengono la melatonina e quelli
citati in apertura) non sono allucinogeni. Si definiscono allucinogene,
infatti, quelle sostanze (comunemente definite “droghe”, quasi tutte di origine
vegetale ed oggi largamente sintetizzate) che determinano nel soggetto una
condizione patologica, devastante ed alla lunga irreversibile, che si esplica
con la percezione modificata della realtà. Di grande aiuto per
l’interpretazione dell’attività dei neuropeptidi, si è rivelata proprio la
comprensione del meccanismo d’azione degli allucinogeni, che hanno avuto nella
storia dell’umanità un’indiscutibile importanza nell’espansione della
coscienza. Questo ha fatto comprendere ai neuroendocrinologi che nel sistema
nervoso centrale dell’uomo esistono, in siti specifici, recettori e molecole
atti all’espansione della coscienza, qualora vengano a contatto con sostanze
psichedeliche. Esistono tuttavia altre sostanze, ugualmente naturali ma
prodotte spontaneamente dalle strutture encefaliche, che interagiscono con gli
stessi recettori d’ancoraggio degli allucinogeni introdotti dall’esterno:
queste sostanze sono costituite per l’appunto dai neuropeptidi.
La definizione “stato alterato di
coscienza” sta ad indicare non una patologia, bensì una condizione transitoria
in cui viene a trovarsi la psiche del soggetto. Soggetto non succube
dell’effetto di droghe (naturali o sintetiche), ma che, mediante l’incremento
temporaneo della produzione autonoma di neuro-ormoni, riesce ad “amplificare”
la gamma delle proprie facoltà percettive dimensionali: un po’ come se ad un
televisore si consentisse di ricevere ulteriori frequenze…
La “Coscienza”, infatti, viene
intesa come la “facoltà di percepire il significato di un’informazione”; le
informazioni creano la coscienza e l’alimentano. A sua volta la coscienza
filtra le informazioni, le elabora e le confronta col data-base in suo possesso
per giungere all’identificazione: gli psicologi, infatti, a seguito di studi
approfonditi condotti nei laboratori di ricerca di tutto il mondo, sono giunti
alla conclusione che “la mente dell’uomo non dimentica alcun fatto od evento
trascorso”.
Cosa c’entra tutto questo, ci si
potrebbe chiedere, con la tematica esobiologica in generale e con la ricerca di
altre forme di vita intelligente nel Cosmo? La risposta è relativamente
semplice, purché si accetti un assunto molto importante: l’approccio col
problema dell’esistenza o meno di entità aliene e della loro presunta
interferenza con le vicende umane va considerato parallelamente allo studio
dell’uomo e in particolar modo delle sue facoltà psichiche regredite e/o
sopite. A questo proposito va ricordato che le culture di tutte le civiltà,
siano esse orientali o appartenenti al bacino del Mediterraneo, contemplano nei
loro canoni il concetto secondo il quale “esseri superiori, simili all’uomo e
venuti dal cielo, colonizzarono la Terra, sulla quale dovranno ritornare…”.
Ancora: recenti indagini
demoscopiche, condotte sia negli Stati Uniti che in Europa, hanno evidenziato
con sorpresa (ma non per gli esobiologi) che una percentuale molto alta delle
persone interpellate, vicina al 60%, è fermamente convinta non solo
dell’esistenza di altre forme di vita nel Cosmo, ma anche della loro presenza
(attuale o trascorsa) sul nostro pianeta. Il sondaggio ha rivelato dunque che
la questione extraterrestre è uno stato di consapevolezza, uno status
coscienziale che, in quanto tale, non può che alloggiare nell’interiorità
dell’uomo: e quindi deve esistere la possibilità di sperimentarlo.
E in che modo sperimentarlo
scientificamente, se non utilizzando il cervello? E se utilizziamo il cervello,
è chiaro che in esso devono esistere delle strutture neurochimiche capaci di
“traghettarci” sulle rive dell’infinito e dell’eternità.
Finora ci eravamo occupati di
quelle molecole psicòtrope, il cui incremento nell’organismo del testimone
potrebbe costituire una condizione favorevole ai contatti del 4° tipo; contatti
che vedono gli involontari protagonisti delle “abductions” ricoprire un ruolo
del tutto passivo nei confronti delle presunte entità aliene.
Come mai, ora, siamo passati allo
studio di un neurotrasmettitore che permetterebbe all’organismo di
sintonizzarsi “motu proprio” con una nuova dimensione, diversa da quella umana,
in cui probabilmente si muovono gli extraterrestri?
Questa “inversione direzionale” è
dovuta, manco a farlo apposta, proprio ad un’espansione di coscienza (quella
dello scrivente), nel senso che fino a qualche tempo fa non ero a conoscenza di
un interessante volume, «Melatonina - ormone degli Dei», scritto dal
concittadino Dr.Giancarlo Rosati.
Epifisi, melatonina e “terzo occhio”
L’epìfisi (o ghiandola pineale) è un piccolo organo, a forma di pigna (da cui il nome), di circa 8 millimetri di lunghezza e di 150 milligrammi di peso, situato al centro dell’encefalo, fra i due emisferi. La possiamo localizzare tracciando una retta che, partendo dalla radice del naso, attraversa la fronte e s’incrocia con una seconda linea, tracciata a partire dall’orecchio esterno. E’ singolare il fatto che numerosi protagonisti di “incontri ravvicinati” di 3° e 4° tipo, secondo la classificazione dell’astrofisico J.A.Hynek, sottoposti a radiografie del cranio per i motivi più svariati, hanno evidenziato “impianti” di natura sconosciuta (microchips) in corrispondenza della radice del naso.Fin dai tempi di Aristotele (384 – 322 a.C.) questo minuscolo ed apparentemente insignificante organo è stato oggetto di curiosa attenzione nella storia della medicina. L’esatta natura ed il suo significato, tuttavia, restano tuttora in gran parte sconosciuti. Molti tentativi sono stati fatti per identificare in essa una formazione dotata di funzione endòcrina specifica, ma sia le ricerche sperimentali che quelle cliniche non hanno ancora fornito dati sicuri; è forse per questo motivo che lo studio della straordinaria ghiandola è stato accantonato e trascurato per molto, troppo tempo. I mistici, i sensitivi e tutti quei soggetti dotati spontaneamente di facoltà paranormali (i quali, forse, albergano inconsciamente un’elevata capacità di secrezione melatoninica) hanno da sempre identificato la ghiandola pineale con il cosiddetto “terzo occhio”, in cui René Descartes (Cartesio), in epoca pre-illuministica, poneva la “sede dell’anima”.
I paleontologi, ricostruendo il percorso evoluzionistico degli animali, hanno accertato che l’epìfisi nei vertebrati inferiori costituiva una sorta di “occhio termico”, sensibile alla luce ed al calore (qualcosa di simile è rimasto - occhio mediano o pineale - nella lampreda, un pesce che, pur essendo dotato di organi visivi, risulta cieco per i primi 6 anni di vita e quindi si “aiuta” con questa specie di occhio termico per riconoscere le particelle organiche sospese nell'acqua, con cui si nutre).
Si tratterebbe quindi d’un “orologio biologico”, controllato dalla luce, che lega l’organismo all’ambiente: in altre parole, la ghiandola consentirebbe all’organismo stesso di sopravvivere in ambienti diversi, modificandone le funzioni in rapporto alle condizioni circostanti; garantirebbe in fondo la sopravvivenza. Quella, in particolare, dei presunti “addotti”, catapultati loro malgrado in una dimensione dai canoni non coincidenti con quelli vigenti sul nostro pianeta? La domanda ci sembra pertinente, anche se, almeno per il momento, è destinata a non ottenere risposta…
Attualmente le si vuole comunque
attribuire un’influenza diretta sullo sviluppo psico-fisico dell’Uomo,
attraverso una sua secrezione ormonale: la melatonina.
La melatonina, chimicamente, è un derivato dell’indolo e viene sintetizzata nell’epìfisi a partire dalla serotonina (di entrambi questi precursori ci siamo già occupati nei lavori citati in precedenza).
E’ immessa in circolo in modo
ritmico in funzione dell’alternanza luce-buio e la sua concentrazione, in tutti
i mammiferi, è più elevata nelle ore notturne che in quelle diurne. Risulta
pertanto un “sincronizzatore circadiano”, in grado, fra l’altro, di minimizzare
gli effetti perturbativi conseguenti al repentino cambiamento di fuso orario.
Si è anche dimostrata capace di svolgere un’azione protettiva nei confronti dei
radicali liberi, per cui le è stato conferito il ruolo di “detossificante
naturale”. Alcuni ricercatori avrebbero inoltre individuato in essa spiccate
proprietà, tipiche dei neurotrasmettitori, quali l’influenza sul ciclo
veglia-sonno, sulle reattività comportamentali, sulla regolazione immunologica
dell’attività antitumorale, sulla termoregolazione e sulla senescenza
cellulare.
Indubbiamente gli studi sulla
melatonina riserveranno ancora molte sorprese: proprio per questo essa continua
a suscitare crescente interesse in campo medico e farmacologico. Oggigiorno,
tuttavia, le preparazioni in commercio a base di melatonina risultano per lo
più sottodosate, per cui, se da un lato ciò assicura l’assenza di effetti
collaterali indesiderati, dall’altro non dovrebbe consentire di ottenere nulla
di più che la regolazione del ciclo sonno-veglia. Ma alcuni ricercatori si
spingono oltre, fino a sostenere che l’assunzione regolare e prolungata di
opportune dosi di melatonina possa consentire l’accesso ad uno stato alterato
di coscienza, la cosiddetta “coscienza superiore” o “coscienza espansa”,
riscontrata e riscontrabile fisiologicamente negli individui soggetti a
“trance” (dal latino transìre = andare oltre) od “estasi mistica”.
La produzione di melatonina, come nel caso delle endorfine, è inversamente proporzionale all’età: è massima nell’infanzia, ha una flessione nell’adolescenza e decresce sensibilmente con la vecchiaia; per esemplificare, intorno ai 45 anni già si riduce della metà.(3) Anche questo fattore potrebbe supportare il dato di fatto, secondo cui la stragrande maggioranza di coloro che asseriscono d’esser entrati in contatto diretto con “entità ultraterrestri” (siano esse divinità o alieni) rientra in una fascia d’età assolutamente giovanile.
La qual cosa, tuttavia, ha come
rovescio della medaglia la scarsa credibilità e considerazione che tali
testimoni riescono ad ottenere dagli adulti, in virtù della “fantasticheria”
propria dell’età.
Occorre non confondere, vista
l’assonanza, la melanina con la melatonina; la prima, infatti, è un pigmento
bruno, prodotto da specifiche cellule epiteliali (melanociti) ed è stimolato
dall’esposizione alle radiazioni solari o artificiali (abbronzatura), mentre la
seconda si comporta al contrario: schiarisce la pelle (negli anfibi), viene
inibita dalla luce e stimolata dall’oscurità e pertanto la sua produzione
avviene in massima parte di notte (fra l’una e le cinque, come per le endorfine),
allorché la luce non interagisce con i fotorecettori retinici. Anche questo
potrebbe giustificare la statistica relativa ai “contatti” fra i testimoni ed i
presunti alieni, statistica che conferma la prevalenza notturna di questi
eventi.
Ma siamo veramente certi di queste “scoperte”, nel senso che: siamo sicuri di essere i primi ad averle realizzate?
Il pensiero di Anassàgora
Se ripercorriamo a ritroso la
storia delle Scienze, ci accorgiamo che molte delle cosiddette “scoperte”,
frutto di faticosi anni d’indagini e ricerche, sono in realtà nient’altro che
ri-scoperte: un po’ come le facoltà sopite e/o regredite del cervello umano, di
cui accennavamo all’inizio…
Un esempio?
Antoine Laurent Lavoisier, illustre chimico francese (Parigi, 1743 – 1794), giunse a formulare la celebre teoria, oggi confermata dalla fisica quantistica, secondo cui "rien se perd, rien ne se crée" (nulla si crea, nulla si distrugge, ma tutto si trasforma); la qual cosa, tuttavia, non lo salvò dalla ghigliottina, grazie all’intelligenza (?) dei suoi simili, intesi come esseri umani, ma non altrettanto dal punto di vista politico.
Tanto che il grande matematico Joseph Louis Lagrange (torinese, nonostante la modificazione del cognome e noto, fra l’altro, per l’omonimo “punto del non-ritorno”, applicabile oggi a certa stupidità umana…) così commentò la sua scomparsa: “E’ bastato un attimo per far cadere quella testa, ma forse cent’anni non saranno sufficienti perché ne sorga un’altra simile”.
Ma se retrocediamo ancora
maggiormente, non possiamo far a meno di constatare che la prima, geniale
intuizione della “legge di conservazione della massa” è ben più antica,
databile addirittura prima di Cristo.
Si deve infatti al filosofo
Anassàgora (500 – 427 a.C.), esponente di spicco dei “pluralisti” insieme con
Empedocle e Democrito ed in antitesi con la corrente di Eràclito e Parmenide,
il motto che la tradizione attribuisce alla scuola di pensiero denominata, per
l’appunto, “pluralistica”: «nulla si crea e tutto si trasforma». Il che equivale
a dire che «in ogni cosa c’è una particella di ogni cosa», ovverosia «il tutto
è in tutto». Tradotto in termini moderni, potrebbe equivalere al concetto di
“molecola” e di “cellula”: ogni entità definita è tuttavia composta
dall’insieme di diversi elementi. Concetto ardito per quei tempi ed in seguito
ripreso da Tito Lucrezio Caro (99 – 53 a.C.) nel “De rerum natura”.
Amico di Pericle e maestro di
Socrate, Anassàgora può essere ritenuto il fondatore della “naturae historia”,
ovvero della descrizione-narrazione della storia dell’Universo a partire dalle
sue origini. Fu il primo ad affermare che “il sole è una massa incandescente e
la luna un’ammasso terroso”, e non “divinità” cui offrire sacrifici e
consacrare feste, come sosteneva la tradizione mitica dell’antica Grecia. Per
questo fu accusato di “empietà” (l’eresia di Galileo, all’epoca di Papa Urbano
VIII), processato ai sensi del “decreto del vate Diopite”, che perseguiva
“tutti coloro che insegnano e divulgano cose empie al riguardo dei fenomeni celesti,
che devono essere considerati come ammonimenti inviati dagli dèi agli uomini”
(gli odierni “crop circles”?) e quindi condannato a morte.
La stessa sorte toccata a Lavoisier, ma, fortunatamente per il filosofo greco, commutata poi in esilio grazie all’intercessione dell’amico Pericle. Il tutto a riprova che la Scienza non ha mai goduto (e non gode tuttora) né dei favori popolari né dell’approvazione delle forze più retrive e superstiziose, in particolare dei centri cosiddetti “magici” e delle “sette religiose”. Ma, ad onor del vero, pure di certe istituzioni conservatrici, materialistiche ed esasperatamente positiviste, tese opportunisticamente a mantenere il proprio “status quo” e ad ostacolare la soddisfazione più gratificante della vita umana: quella di scoprire chi siamo, donde veniamo e dove andiamo (T.Moreux, 1867 – 1954, direttore dell’osservatorio astronomico di Bourges, città francese gemellata con Parma).
Ma ciò che più sorprende nel pensiero di Anassàgora è che, già 2500 anni fa, l’Uomo era giunto attraverso il “nous” (l’intelletto, la mente) a concepire l’idea secondo la quale, se nel Cosmo vige la legge della “presenza del tutto in tutto” (oggi diciamo: gli elementi fondamentali che costituiscono il Cosmo sono gli stessi, dappertutto, ed i cànoni cui sottostanno sono universali), questo processo naturale, cioè quello della comparsa della Vita, deve necessariamente ed inevitabilmente essersi compiuto anche altrove.
Troviamo così in Anassàgora, in termini che dovevano apparire sconcertanti agli occhi dei contemporanei (se non addirittura blasfemi, come abbiamo visto), la tesi della pluralità dei mondi abitati, che verrà in seguito sviluppata dal Fontenelle (Entretiens sur la pluralità des mondes, 1686)
e dal domenicano Giordano Bruno (De l’infinito universo et mondi, 1584): in quest’ultimo caso, con le conseguenze ben note cui gli eretici andavano incontro…
”Stando così le cose, bisogna
supporre che in tutti gli aggregati ci siano molte cose di ogni genere e semi
di tutte le cose, aventi forme e colori e sapori d'ogni genere. E che gli
uomini siano stati in tal modo composti e così pure gli altri animali che hanno
vita, e che questi uomini abbiano città abitate ed opere costruite, come da
noi, e abbiano il sole e la luna e tutto il resto, come da noi, e che la terra
produca per loro molte cose e di ogni genere, che essi usano portando le
migliori a casa”.
(Anassàgora, “Sulla natura”, DK 59 B 4)
«A chi
gli domandava perché non si interessasse della sua patria, Clazomène (città
della Ionia – N.d.R.), Anassàgora rispose che invece se ne preoccupava
moltissimo, indicando il cielo…»
Concludendo: spesso ciò che la
mente immagina si rivela, nel tempo, realtà: Giulio Verne docet…
L’intuizione precede le scoperte e pertanto, nonostante questa ricerca non sia nulla più d’una mera “ipotesi di lavoro”, non si può escludere a priori che, progredendo negli studi sulla ghiandola pineale, si scopra un giorno che le sostanze ormonali da essa prodotte corrispondono a quelle stesse che, fin dalla notte dei tempi, consentivano ai nostri antichi progenitori (che ancora osiamo definire “primitivi”) di accedere ad uno stato alterato di coscienza, nel corso del quale venivano proiettati, anche se transitoriamente, all’espansione della coscienza stessa e, quindi, alla percezione dell’Infinito.
Facoltà, questa, che dorme
profondamente, sepolta nei meandri cerebrali dell’Homo “tecnologicus”…
NOTE:
1) «La
percezione visiva nei fenomeni paranormali», 1997; «DMT: passaporto per
dimensioni parallele?», 1998; «Endorfine & impianti alieni: un connubio
obbligato?», 1999
2)
«It
is possible that the mere act of inducing altered states of consciousness with
regard to our inner space can create the extraordinarily real experience of
movement at will through space, time and other dimensions, just as our alleged
UFO visitors appear to be able to operate with regard to outer space?» - Brian
O’Leary (Ph.D. in astronomia a Berkeley - California University, consulente
NASA per i progetti Apollo e Mariner
3) Curioso
è l’analogia fra la produzione di melatonina e la capacità di “scendere” a
livello del ritmo alfa, entrambe appannaggio dell’età infantile. Dato che nella
fanciullezza (approssimativamente fra i cinque e i dieci anni) ognuno di noi si
è trovato nella sfera del ritmo alfa e dato che nello stesso ritmo alfa ci
ritroviamo ogni notte, durante il sonno, è evidente che “possediamo” tale
“capacità” anche adesso, in età adulta.
BIBLIOGRAFIA
G.Rosati – MELATONINA: ormone
degli dèi – Edizioni Milesi, Modena / 2002
M.Bonazzola – DINAMICA MENTALE –
CIDMEPA / Italia, Bergamo 1984
Brian O’Leary – EXPLORING INNER and OUTER SPACE
– North Atlantic Books, Berkeley / 1989
J.Gribbin – DIZIONARIO di FISICA
QUANTISTICA – Macro Edizioni, Cesena / 2004
E.Santaniello – ENCICLOPEDIA
della CHIMICA – Garzanti, Milano / 1998
P.B. & J.S. Medawar –
DIZIONARIO FILOSOFICO DI BIOLOGIA – A.Mondatori Saggi, Milano / 1986
Tito Lucrezio caro – DE RERUM
NATURA – Rizzoli, Milano / 1996