di GIORGIO PATTERA
Il metodo scientifico è la
modalità tipica con cui la scienza procede per raggiungere una conoscenza della
realtà oggettiva, affidabile, verificabile e condivisibile. Esso consiste, da
una parte, nella raccolta di dati empirici sotto la guida delle ipotesi e
teorie da vagliare; dall'altra, nell'analisi matematica e rigorosa di questi
dati, associando cioè, come enunciato per la prima volta da Galileo Galilei, le
«sensate esperienze» alle «dimostrazioni necessarie», ossia la sperimentazione
alla matematica.
Nel dibattito epistemologico si
assiste in proposito alla contrapposizione tra i sostenitori del metodo
induttivo e quelli del metodo deduttivo. L'approccio scientifico è valutato
diversamente, anche in base al suo campo di applicazione, ossia se si riferisce
alle scienze naturali, o, viceversa, a quelle umanistiche.
Il Metodo deduttivo ed il Metodo induttivo
Deduzione
Induzione
Sebbene la paternità ufficiale
del metodo scientifico, nella forma rigorosa sopra definita, sia attribuita
storicamente a Galileo Galilei, studi sperimentali e riflessioni filosofiche in
merito hanno radici anche nell'antichità, nel Medioevo e nel Rinascimento.
Secondo Frédéric Kerlinger esisterebbero comunque delle differenze peculiari tra il metodo scientifico ed altri metodi per raggiungere la conoscenza della verità. Egli elenca, citando altri autori, quattro metodi variamente usati per acquisire la conoscenza:
• Metodo
della tenacia: si sa che una cosa è vera perché su di essa si fonda la nostra
vita e perché si continua a dire che è vera.
• Metodo
dell'autorità: una cosa è vera perché stabilita tale da una autorità
riconosciuta (la Bibbia, un grande profeta, un grande scienziato, una
organizzazione affidabile).
• Metodo
a priori (o metodo dell'intuizione): una cosa è vera se è in accordo con la
ragione, che per naturale inclinazione tende alla verità.
• Metodo
della scienza: per mezzo del quale la nostra sicurezza di sapere è determinata
non da qualche fattore umano ma da una realtà esterna, permanente e non
influenzata dal nostro pensiero. In questo senso, il metodo scientifico è lo
studio sistematico, controllato, empirico e critico di ipotesi sulle relazioni
intercorrenti tra vari fenomeni.
In forte disaccordo con l'idea che si possa attingere con sicurezza il sapere dalla realtà esterna, in maniera induttiva, al riparo dalle deformazioni del nostro pensiero, si schiera invece Popper, secondo il quale noi possiamo vedere solo ciò che la nostra mente produce: una teoria può essere sottoposta a controlli efficaci e dirsi scientifica solo se formulata a priori in forma deduttiva. La peculiarità del metodo scientifico consiste nella possibilità di falsificarla, non nella presunzione di "verificarla".
Con Galileo Galilei (1564-1642) è stato introdotto il metodo sperimentale: esso si basa su una prima osservazione, seguita da un esperimento, sviluppato in maniera controllata, in modo tale che si possa riprodurre il fenomeno che si vuole studiare. L’esperimento ha lo scopo di convalidare o confutare l’ipotesi che lo scienziato ha formulato, ipotesi che ha lo scopo di spiegare i meccanismi alla base di quel particolare evento.
Nel primo caso (convalida
dell’ipotesi) si procede con l’esecuzione di un gran numero di esperimenti, in
maniera tale che i risultati acquisiti siano attendibili (analisi statistica):
i dati raccolti vengono elaborati e successivamente viene formulata una teoria:
quest’ultima viene utilizzata, spesso insieme ad altre teorie, per formulare
una legge. La teoria ipotizza la causa o le cause all’origine di un fenomeno,
mentre la legge descrive un fenomeno che avviene con una certa regolarità.
Nel secondo caso (rigetto
dell’ipotesi) l’ipotesi viene modificata e sottoposta a nuovi esperimenti.
Il metodo scientifico si basa su
alcuni presupposti, ad esempio che gli eventi naturali osservati hanno delle
cause precise ed identificabili, che ci sono degli schemi utilizzabili per
descrivere quanto accade in natura, che se un evento si verifica con una certa
frequenza alla base c’è la stessa causa, che ciò che una persona percepisce può
essere percepita anche da altri, che si applicano le stesse leggi fondamentali
della natura, indipendentemente da dove e quando si verificano determinati
eventi.
Il metodo scientifico o
sperimentale si articola in due fasi:
• fase
induttiva (cioè dallo studio di dati sperimentali si giunge alla formulazione
di una regola universale)
• fase
deduttiva
La fase induttiva si divide
inoltre in:
• osservazioni
e misure (in questa fase si utilizza la strumentazione opportuna e si
raccolgono i dati)
• formulazione
di un’ipotesi, si tenta cioè di spiegare il fenomeno, mediante la “lettura” dei
dati sperimentali.
La fase deduttiva si distingue
in:
• verifica
dell’ipotesi (si sottopongono i dati ad una verifica rigorosa, si fanno delle
controprove, ecc.)
• formulazione
di una teoria, nel caso in cui l’ipotesi venga confermata.
In pratica il metodo scientifico
è un modo di conseguire informazioni sul meccanismo di eventi naturali
proponendo delle risposte alle domande poste: per determinare se le soluzioni
proposte sono valide si utilizzano dei test (esperimenti) condotti in maniera
rigorosa.
La rigorosità del metodo
scientifico risiede nel fatto che una teoria non è mai definitiva ma è
suscettibile di modifiche o di sostituzioni, qualora vengano alla luce nuovi
aspetti non ancora considerati. Il metodo scientifico richiede una ricerca
sistematica di informazioni e un continuo controllo per verificare se le idee
preesistenti sono ancora supportate dalle nuove informazioni. Se i nuovi
elementi di prova non sono favorevoli, gli scienziati scartano o modificano le
loro idee originarie. Il pensiero scientifico viene quindi sottoposto ad una
costante critica, una modifica ma anche ad una rivalutazione: è questo che lo
rende così grande ed universale.
Esempio di metodo scientifico:
l’esperimento di Pasteur sul carbonchio (1881).
Il chimico francese Louis Pasteur (1822-1892) condusse nel 1881 un drammatico esperimento. In pratica, utilizzò il Bacillus anthracis, agente infettivo responsabile del carbonchio (conosciuto anche come antrace), attenuato mediante un agente fisico (coltura a 42-43°C: la crescita a tale temperatura ne attenua la virulenza) e lo inoculò successivamente in un certo numero di pecore. La sua idea era verificare l’origine batterica della malattia, contrariamente a quanto affermato da una gran parte della comunità scientifica del tempo, la quale attribuiva il carbonchio all’inalazione dei miasmi ambientali, quindi ad una causa di tipo chimico.
Osservazioni:
le pecore si ammalavano dopo aver
trascorso del tempo sui campi infetti;
le pecore si ammalavano se
venivano messe a contatto con il materiale in decomposizione presente sui campi
o derivante da altri animali malati;
nel sangue delle pecore malate
era presente un organismo unicellulare a forma di bastoncello (osservabile al
microscopio).
Scopo dell’esperimento:
Dimostrare se il responsabile del
carbonchio era il Bacillus anthracis (isolato dal medico tedesco Robert Koch)
oppure i miasmi ambientali.
Ipotesi
Forse le pecore potevano
acquisire l’immunità qualora fossero venute a contatto con il bacillo
attenuato, cioè la cui infettività era stata ridotta mediante un reattivo
chimico.
Esperimento
Pasteur selezionò dapprima 60
pecore:
10 di esse furono tenute da parte
ed isolate: ciò serviva da controllo;
25 furono sottoposte
all’inoculazione (vaccinazione) del bacillo attenuato per ben 2 volte (il 5
maggio 1881 e il 17 maggio 1881);
25 non furono vaccinate.
Successivamente (31 maggio 1881),
ai due gruppi di pecore da 25 individui fu iniettata una coltura virulenta di
carbonchio, cioè ricca di bacilli non attenuati ma perfettamente vitali.
Pasteur verificò pubblicamente,
il 2 giugno 1881, che:
• del
primo gruppo, quello delle pecore vaccinate, sopravvissero 24 individui su 25.
Si registrò quindi un tasso di mortalità del 4%
• del
secondo gruppo, quello delle pecore non vaccinate, ne sopravvissero 2
(moribonde); le altre risultarono decedute. Si registrò quindi un tasso di
mortalità del 92%
Teoria
Il carbonchio era dovuto
all’azione del Bacillus anthracis. La vaccinazione attiva le difese immunitarie
e previene le malattie infettive.
Einstein e la teoria della “lente gravitazionale”.
Ai primi del Novecento, Einstein (1879-1955) rivoluzionò il metodo scientifico con un approccio che stupì i contemporanei: egli formulò la relatività generale partendo non da esperimenti o da osservazioni empiriche, ma basandosi su ragionamenti matematici e analisi razionali compiuti a tavolino.
Inizialmente gli scienziati erano scettici, ma le predizioni fatte dalla teoria, in effetti, non furono smentite dalle misurazioni di Arthur Eddington durante un'eclissi solare nel 1919, che confermarono come la luce emanata da una stella fosse deviata dalla gravità del Sole quando passava vicino ad esso, dimostrando così la teoria della “lente gravitazionale”. In astronomia una lente gravitazionale è una distribuzione di materia, come una galassia o un buco nero, in grado di curvare la traiettoria della luce in transito, in modo analogo a una lente ottica.
La scoperta di Plutone.
Percival Lowell, sulla base di presunte imperfezioni nelle previsioni dei moti di Urano e Nettuno, aveva previsto già nel 1905 la posizione di un eventuale nono pianeta. Tombaugh utilizzò un astrografo da 13 pollici per scattare foto della stessa porzione di cielo, a distanza di alcune notti. Per facilitarne l'individuazione, inventò pure una macchina (stereocomparatore) che mostrava alternativamente le lastre fotografiche, per scoprire se qualcosa si era mosso rispetto allo sfondo delle stelle fisse. Fu un lavoro estremamente impegnativo, perché ogni fotogramma di cielo conteneva migliaia di oggetti: si calcola che Tombaugh osservò circa 45 milioni di oggetti celesti, finché il 18 febbraio 1930, sei mesi dopo il suo arrivo all'Osservatorio Lowell, Tombaugh individuò Plutone.
https://it.wikipedia.org/wiki/Metodo_scientifico
https://it.wikipedia.org/wiki/Arthur_Eddington
https://it.wikipedia.org/wiki/Clyde_Tombaugh