“Solo se sei pronto a considerare possibile l’impossibile,

sei in grado di scoprire qualcosa di nuovo”.

(Johann Wolfgang Goethe)

“L’importante è avere un pensiero indipendente:

non si deve credere, ma capire”

(Hubert Revees)


“L’Uomo è la specie più folle: venera un Dio invisibile e distrugge una Natura visibile. Senza rendersi conto che la Natura che sta distruggendo è quel Dio che sta venerando”

(Hubert Revees)

giovedì 31 dicembre 2020

CAPODANNO CELTICO: LA PORTA SEGRETA SI APRE...

 


                                                     di GIORGIO PATTERA

Le tradizioni, civili e religiose, dell’umano consesso non risultano univoche, per quanto riguarda la data in cui si celebra la ricorrenza del Capodanno. Ma non occorre spingerci, ad es., nella lontana Cina (che festeggia il Capodanno lunare in corrispondenza del novilunio, tra il 21 gennaio e il 20 febbraio) per sottolinearne la diversità: già tra le popolazioni del nostro occidente, in un passato non lontanissimo, la cultura Celtica faceva eccezione, posizionando il Capodanno nella notte fra il 31 ottobre ed il 1° novembre. Questo perché il “modus vivendi” dei Celti, imperniato principalmente in attività agricolo-pastorali, si rapportava strettamente ai cicli della Natura, alle sue regole ed alle sue esigenze. Di conseguenza, col mese di ottobre, per loro, terminava l’anno “lavorativo” e ne iniziava uno “nuovo”, previo un intervallo (l’inverno) dedicato alla quiescenza ed al rinnovo delle energie, sia di Madre Natura che dell’Uomo…


Ecco quindi comparire nel calendario celtico rinvenuto a Coligny (Francia centro-orientale) il termine SAMHAIN (o Samonios, come veniva chiamato dai celti insubri del Nord Italia), la cui etimologia deriverebbe dall'irlandese antico (= "la fine dell'estate"), mentre in gaelico significa "Novembre". ... 


E siccome per i Celti, a Novembre, con la Natura “morivano” anche gli uomini (= si interrompevano le gravose attività agricole), vediamo ora come questa antica civiltà considerava i defunti.

Secondo i Celti, a Samhain, nome celtico del Capodanno, si aprivano le porte fra il Regno dell’Al-di-qua e l’Altro-mondo. I morti risiedevano in una terra di eterna giovinezza e di felicità, molto spesso descritta come un’isola beata e si riteneva che in certe occasioni potessero soggiornare sulle colline, insieme col misterioso “Popolo Fatato”.

Nella notte di Samhain tutte le leggi dello spazio e del tempo erano sospese, permettendo agli spiriti dei morti (e talora anche dei vivi) di passare liberamente da un mondo all’altro.

Il confine invalicabile fra l’Aldiqua e l’Altromondo si faceva più sottile e cedevole, permettendo alle anime di mostrarsi o di comunicare con i viventi. Per questa ragione sono nate e si sono consolidate le celebrazioni in onore dei defunti, tradizioni giunte fino ai giorni nostri con qualche rituale che si mantiene inalterato nel tempo (ad es., accendere i “lumini” sulle tombe, anche se nessuno sa o ricorda più «perché si usa fare così»).

L’anno si rinnova…

Tradizionalmente il Capodanno Celtico si celebra a partire dal tramonto del sole, tra il 31 ottobre e il 1° novembre. Questo era il momento più solenne e importante: rappresentava il rinnovamento dell’anno, la fine e l’inizio di un ciclo in natura, nella vita quotidiana e nella sfera più intima e profonda della vita stessa, la spiritualità. Questo Capodanno segnava la fine dell’estate e l’inizio dell’inverno, la notte era più lunga del giorno e l’anno nuovo si raffreddava gradualmente nella sua metà oscura e sotterranea. Samhain era chiamato anche “Trinoux Samonia”, ovvero “Tre Notti di Fine Estate” ed i festeggiamenti si protraevano quindi per tre giornate, se non addirittura per una decina di giorni.

Alla luce di quest’ultimo particolare, sembra che anche la festa di San Martino di Tours (11 novembre) sia una specie di “capo d’anno”, in quanto vi si ritrovano alcune delle connotazioni proprie del Samhain Celtico. Anticamente l’11 novembre coincideva con l’inizio d’un ciclo annuale, testimoniato non solo dall’aspetto folkloristico. Un tempo, infatti, a San Martino cominciava l’attività dei Tribunali, delle Scuole e dei Parlamenti; si tenevano le elezioni municipali; si pagavano affitti, rendite e locazioni; venivano rinnovati i contratti agrari, oppure si traslocava, tant’è vero che ancor oggi nel linguaggio popolare “fare San Martino” equivale a “traslocare”.


 L’antica “Festa dei Morti”

Molte leggende celtiche, in cui si narrano cicli epici di re ed eroi, si svolgevano nella notte di Samhain. Queste leggende si ricollegavano ai cicli di fertilità della Terra ed all'inizio del regno semestrale dell’Oscurità. Per i Celti, popolo dedito all'agricoltura e alla pastorizia, questa ricorrenza assumeva un’importanza particolarissima. La vita quotidiana cambiava radicalmente: le greggi venivano riportate giù dagli alpeggi e dai pascoli estivi; si raccoglievano le ultime mele; le coltivazioni non davano più frutti ed i campi venivano preparati per la nuova semina; le famiglie si chiudevano nelle cascine per trascorrere al caldo le lunghe e fredde notti invernali, dedicate a lavori artigianali (costruzione e/o riparazione di utensili), al chiacchiericcio di storie, leggende e filastrocche.

In alcune regioni del nord Europa, in particolare nelle Highlands scozzesi, i giovani uomini percorrevano i confini delle fattorie, dopo il tramonto, tenendo in mano delle torce fiammeggianti per proteggere le famiglie dalle Fate e dalle forze malevole, libere quella notte di camminare sulla terra. Questo era il momento in cui si poteva facilmente prevedere il futuro e la sorte, una tradizione che è rimasta “impigliata” in molte usanze folkloriche.


Com’è nata l’attuale “Festa dei Morti”

Lo spiega compiutamente proprio Eraldo Baldini: «Con l’affermarsi della nuova religione cristiana, la Chiesa cercò di cancellare le antiche feste “pagane”, cioè appartenenti a religioni precedenti, non abolendole, ma appropriandosene, riconducendole nel proprio ambito e mantenendone vivi solo la data, ma in parte anche il significato. Così, per cristianizzare il Capodanno Celtico, la chiesa pose al 1° novembre la festa di Ognissanti, alla cui diffusione contribuì soprattutto Alcuino (735 – 804), l’autorevole consigliere di Carlo Magno. Qualche decennio dopo, l’imperatore Ludovico il Pio, su richiesta di papa Gregorio IV (827 – 844), ispirato a sua volta dai vescovi locali, la estese a tutto il regno franco. Ma ci vollero ancora molti secoli perché il 1° novembre diventasse per tutta la Chiesa d’occidente la festa di Ognissanti: fu infatti papa Sisto IV a renderla obbligatoria nel 1475. Per non snaturare completamente le caratteristiche della “festa dei morti” dell’antico Capodanno Celtico, preso atto che comunque il popolo (e in larga parte anche il clero) continuava a conservarle, la Chiesa dedicò il giorno successivo, 2 novembre, alla Commemorazione dei defunti.

Fu Odilone di Cluny, nel 998, a ordinare ai Cenobi dipendenti dell’abbazia di celebrare l’ufficio dei defunti a partire dal vespro del primo di novembre, mentre il giorno seguente i sacerdoti avrebbero offerto al Signore l’Eucarestia “pro requie omnium defunctorum”. Il rito poi si diffuse a poco a poco al resto d’Europa, giungendo a Roma solo nel XIV secolo.

Al di là dei dati storici e degli aspetti della religiosità “ufficiale”, certo è che nel folklore europeo (e quindi anche italiano) i primi giorni di novembre hanno conservato aspetti che riportano ad un antico capodanno: per esempio, l’usanza in varie parti d’Italia di portare in regalo in quei giorni le “strenne”, per lo più costituite da dolciumi per i più piccoli. In questo caso, la tradizione vuole che i doni siano portati proprio dai defunti.


L’ospitalità agli antenati e il ristoro

Un tema fondamentale della Festa dei Morti è il rispetto e l’ospitalità nei confronti dei defunti, i nostri antenati che ritornano in questo mondo per una notte. Le anime dei trapassati devono, in quel giorno, venir confortate e placate, affinché (al pari delle divinità e del Popolo Fatato) siano propizie allo svolgersi dell'anno che ricomincia. Con il Cristianesimo, il culto popolare si muove su un piano di preghiera e di suffragio, ma nel frattempo i riflessi delle antiche tradizioni rimangono inamovibili in alcune usanze proprie a tutti i ceti sociali, dal più ricco al più povero: una di queste, sopravvissuta nel corso dei secoli, recita di porre lumini accesi sulle tombe dei propri cari. In passato, durante questa notte, anche la casa restava illuminata da una candela, che si accendeva per rendere più agevole il cammino dei defunti verso la loro antica dimora e la loro famiglia terrena. Da noi (ma anche nel resto dell’Europa) la tradizionale accoglienza si ritrova in varie usanze, ancora vive in parte nei piccoli centri, ma in gran parte completamente abbandonate. Ecco qualche esempio…

In Romagna una volta tutti si alzavano di buon’ora e i letti erano lasciati liberi per il riposo degli antenati. Si racconta che per l’occasione la massaia «cambia le lenzuola e le sceglie candide di bucato e odorose di spigo: appronta i letti per i morti della casa, che vi tornano a riposare stanchi del viaggio percorso dall’eternità». Anche nel Cremasco ci si alzava per tempo e si sprimacciavano bene i letti, perché i trapassati potessero trovarvi riposo.

Il banchetto è un’usanza registrata in molte regioni: quando arrivano in casa, i defunti devono trovare anche cibo e ristoro, così la mensa non si sparecchia e si lascia tutto pulito e ordinato.

I rituali delle offerte, della questua e dei banchetti


Ancora oggi ad Halloween i bambini, mascherati da mostri, vanno di casa in casa chiedendo un’offerta (“dolcetto o scherzetto?” si usa dire, un po’ ricalcando il “trick or treat” anglosassone). È un gioco rituale che deriva dall’antica tradizione di fare offerte ai defunti per la loro Festa (a volte i doni si lasciavano sulle tombe); in altri casi l’offerta si dava va chi li impersonava i Morti recandosi nelle case per una questua rituale. In molte zone il 1° novembre si usava fare una questua per i poveri raccogliendo per le case pane e farina, e si confezionavano dei dolci di forma particolare, detti «ossa dei morti».


In passato, a Fezzano (La Spezia), alla sera e alla mattina i bambini recitavano le preghiere insieme con i genitori e i nonni raccontavano storie e poesie paurose. Alla vigilia dei Morti, i bambini andavano di casa in casa per ricevere in dono fave, castagne bollite e fichi secchi: questi doni si chiamavano il «Ben dei morti». In Lombardia, le osterie di Bergamo e dei paesi vicini preparavano grandi pentole colme d’una speciale minestra d’orzo, che veniva caritatevolmente distribuita ai poveri. A Sellero (BS) e in Val Camonica si andava a Messa, pregando per i defunti; al ritorno si faceva una festa a base di polenta e “schelt”, un impasto fatto con farina di castagne. Si andava poi nella stalla a mangiare e a chiacchierare (si faceva “filò”), recitando il Rosario accompagnato da qualche bicchiere di “rosso” per difendersi dal freddo…


Il cibo che predice la sorte

Cibo tradizionalissimo per la ricorrenza dei Morti sono le fave: secondo gli antichi contenevano le anime dei loro trapassati ed erano sacre ai morti. Le fave, che per prime sbucavano dal terreno primaverile dopo che il seme era stato sepolto nella terra, erano il simbolo della resurrezione, già nell’antichissima credenza precristiana, il segno che le anime dei morti non perivano con il corpo. Anche oggi, in occasione delle festività dei primi di novembre, le «favette» o «fave dei morti» hanno questo arcaico e nobile significato. A Voghera e nell’Oltrepò Pavese si cantava e si mimava il gioco de “La bela vilana la pianta la fava... facendo in questa guisa», ripetendo inconsapevolmente una arcaica danza di incantesimo degli agricoltori per propiziarsi la produttività della terra.

La fava, antico ingrediente anche per i filtri delle fattucchiere è giunta attraverso i tempi con la sua carica di virtù magica al guanciale delle donne (specialmente lombarde) per predire fortuna o sfortuna domestica e nozze più o meno felici. Il rito si compie così: sotto il cuscino si pongono tre fave dentro un sacchetto, una intatta, una semi-sbucciata e una mondata. Quest’ultima sarebbe la maledetta, che predice una disgrazia o un marito spiantato, se estratta per prima al mattino.

C’è anche il rito, altrettanto celtico, dove si predice la sorte con una mela ma… ve lo racconteremo al prossimo Capodanno !

 

Fonti:

Trigallia - Il Portale delle Feste Celtiche - http://www.trigallia.com/capodanno.asp

https://www.lospazio.org/lospazio.org/Blog/Voci/2010/10/24_Samhain,_Capodanno_Celtico_Ognissanti-_Commemorazione_dei_defunti-_San_Martino-_Halloween..html

https://www.facebook.com/AlfredoCattabiani/posts/213111028860548:0





Baldini E. - “La festa di Halloween in Romagna e nella Padania: moda importata o tradizione millenaria?” - appendice a “Romagna Celtica” di A.Calvetti, Longo Editore, Ravenna, 2000.





UN “CAPPELLO” INQUIETANTE…

di GIORGIO PATTERA   Il quotidiano “ LA GAZZETTA DI PARMA ” del 15 gennaio 1990 postava un breve ma intrigante trafiletto (integralmente r...