Tributo a Roberto Balbi
Centro Ufologico Nazionale –
Genova
“Molti anni fa, nel 1967, nel mese di luglio (il giorno preciso non lo ricordo) mi trovavo in Piemonte alla ricerca di vecchi manieri e di borghi fortificati: i castelli e l’arte medievale, civile e militare, mi hanno sempre intrigato. Intanto approfittavo dell’occasione per cimentarmi con fotocamere e cineprese, dato che all’epoca ero impiegato presso un grande magazzino e mi occupavo del reparto cine-foto-ottica, coniugando così l’hobby della fotografia e della cinematografia con la passione per i castelli. Ho sempre subìto il fascino di queste enormi masse di pietra edificate dall’uomo, dei mezzi usati per difendersi (e purtroppo anche per offendere), delle soluzioni artistiche e tecniche, proprie d’ogni epoca. Per chi vive a Genova, raggiungere il Piemonte è un gioco da ragazzi ed in poco più di mezz’ora d’autostrada ci si può immergere totalmente in questi frammenti di passato.
Quel giorno mi trovavo in uno di
questi paesi, fra Cremolino ed Acqui Terme, con l’intento di fotografarne i
castelli, molto ben conservati e posti in alto, fra i vigneti, a guardia dei
tetti rossi delle case sottostanti. Ricordo che m'inerpicai lungo antichi
viottoli, fra case in pietra piccole e basse, con cascate di fiori alle
finestre, fiori che sembravano appena dipinti da un grande artista, tanto erano
pieni di colori. Continuando ad arrampicarmi, giunsi ad un certo momento alla
cinta muraria del maniero. Questa era stata rimboccata in tempi recenti, per
evitare che l’azione erosiva del tempo potesse arrecare ancor più danni alle
opere di fortificazione.
Percorsi un bel tratto di strada
sotto le mura ed infine giunsi ad una porta ad archivolto, sovrastata da un
magnifico scudo in marmo con le insegne del castello: un elmo con la celata
abbassata, un cimiero ricchissimo, lance da torneo e da battaglia, alabarde e
due possenti corna di cervo che sovrastavano il tutto, sporgendosi molto in
avanti. Ricordo che rimasi molto colpito da queste insegne così complicate e
dalla pregevole fattura del manufatto.
Stavo calcolando i valori-luce dell’insieme (la fotocamera che avevo portato non era dotata d’esposimetro), allorché, abbassato lo sguardo, scorsi una figura femminile avanzare verso di me, lungo la strada che avrei dovuto in seguito percorrere per arrivare al castello. Ricordo perfettamente quella bellissima immagine, come se la stessi vedendo in questo preciso istante: aveva i capelli nerissimi, con sfumature quasi bluastre, che cadevano molli e lisci dietro le spalle, divisi sulla sommità da una scriminatura centrale e trattenuti da due sottili trecce; un volto bellissimo e regolare, la fronte molto spaziosa e la bocca dal taglio perfetto; così come il naso, diritto e regolare, molto sottile e delicato. Gli occhi, sormontati da sopracciglia ben curate, brillavano, come due stupende gemme scure, d’un balenìo adamantino,
Un particolare che notai
immediatamente fu l’estremo pallore della sua pelle ed il rosa esangue delle
sue labbra, il tutto reso ancor più evidente dal colore dell’abito. Questo era
scollato sin quasi alla spalla, con taglio tondo non così ampio da far vedere
l’attaccatura del seno, ma lasciando scoperte le clavicole e parte dello
sterno. Il colore era blu-turchino; anzi, direi blu-oltremare profondo, come
quello che un tempo le massaie usavano per candeggiare le lenzuola. L’abito le
scendeva con moltissime pieghe sul petto, per raccogliersi svasato in vita,
ov’era trattenuto da una catena argentea, sistemata in modo da formare una
corta appendice penzolante sulla parte anteriore della coscia. Il vestito
continuava sino a terra, non permettendo di vedere i piedi, ma si sollevava in
corrispondenza di essi quando camminava. Le maniche erano a trequarti, richiuse
da un polsino.
La figura avanzava verso di me ed io ero estasiato dalla sua bellezza e dal suo portamento. Anche l’ambiente faceva la sua parte: era quasi mezzogiorno ed il sole era velato da una bruma da caldo; i colori erano tenui ma limpidi. Il grigio delle mura e delle insegne, le varie tonalità dei sassi tondi di fiume ed il turchino intenso dell’abito della donna costituivano un’immagine cromatica di straordinaria efficacia. Mi passò vicino, mi guardò con i grandi occhi neri e mi fece un dolcissimo sorriso; poi si allontanò senza il minimo rumore. Rimasi qualche istante sbalordito: la mia mente cercava disperatamente d’aggrapparsi a qualcosa di reale, in questa atmosfera del tutto irreale. Mi volsi indietro per vedere ancora quella signora, ma non la vidi più. Come ripeto, era mezzogiorno e intorno non si vedeva anima viva (è proprio il caso di dirlo); ricordo di non aver udito alcun rumore per tutta la durata della mia permanenza in quel luogo.
Perché faccio questo racconto?
Anzitutto perché è un evento capitato a me personalmente; ma con questo voglio
e non voglio dire. Non posso affermare che si trattasse d’una visione di tempi
passati, ma non posso nemmeno escludere che potesse esserlo. Mi ricordo che mi
osservai a lungo, ma non vidi calzari puntuti, né guaine inguantate in
calzamaglie multicolori, né il petto stretto in un giustacuore.
Io ero un uomo del 1967, ma
accanto ad una figura femminile che sembrava appartenere al 1500:
il tutto in una cornice ancor più
antica. Un’immagine del passato arrivata attraverso le pieghe dello
spazio-tempo o le bizzarre manie di una moderna castellana che amava paludarsi
in quella cornice con gli abiti dell’epoca?
A me fa piacere optare per la
prima ipotesi, voi prendetela come volete. Questa mia storia, vera e reale,
personale ed intima, l’ho riportata soltanto perché desidero parlare dello
spazio-tempo, di questa fredda formula matematica assurda che da sempre fa
sognare l’uomo. Quelle che seguono sono considerazioni spicciole, che non
vogliono essere più di quello che sono, ma che possono far pensare.
Ma cos’è il tempo? Un’unità di
misura che l’uomo si è imposto per giustificare la nascita e la morte di tutte
le cose terrene? È un qualcosa di estremamente crudele e giusto insieme.
Crudele perché devasta tutto: le nostre figure, le nostre opere, la natura e
tutte le altre cose, nel senso che le trasforma. Il tempo invecchia tutte le
cose: le fa cadere in masse polverose dalle quali nascerà nuovamente qualcosa
di giovane, che diventerà “adulto”, “vecchio” e poi morirà e ricadrà in eterno.
Si dice che l’uomo sia in lotta col tempo, ma io penso che sia il tempo ad
essere in lotta con l’uomo. L’uomo vede incalzare questa immensa ed invisibile
forza, questa incredibile energia, fa mille tentativi per bloccarla, almeno per
un istante, ma non può far nulla. Vi è un solo modo per fermare il tempo, un
metodo molto semplice ed alla portata di tutti, usato da tutti mille e mille
volte senza rendersene conto: la fotografia!
In un’immagine fotografica noi e
tutto ciò che ci circonda rimangono cristallizzati in una frazione di secondo,
irripetibile ed irripetuta. Ma se la fotografia riesce a fermare il tempo e
presenta a volte elementi sconosciuti e non notati al momento dello scatto,
possiamo parlare d’una quarta dimensione o di più dimensioni che si fermano in
virtù d’un processo chimico-fisico? Molte domande si pone e poche risposte
riceve chi ricerca la Verità…
Alla fine del secolo XX si pensava che il tempo fosse la tanto discussa “quarta dimensione”. Su quest’argomento ho trovato qualcosa di estremamente succoso nel racconto-romanzo “La macchina del tempo” di H.G.Wells, l’autore del famosissimo “La guerra dei mondi”.
Ricordiamo che Wells era contemporaneo dell’epoca in cui
si parlava del tempo come quarta dimensione e che era sempre attentissimo alle
nuove realtà scientifiche. Imperniava volentieri racconti e romanzi su questa
realtà, conferendo al suo lavoro un’impronta decisamente interessante anche ai giorni
nostri.
Chi non conosce “La macchina del tempo”? Da questo lungo racconto fu anche tratto, nel 1960, un film con Rod Taylor, regia di G.Pal, dal titolo “L’uomo che visse nel futuro”. La pellicola affronta l’affascinante ipotesi del viaggio nel tempo: la storia d’un uomo che riesce (mediante una macchina, ai nostri occhi ridicola, ma molto credibile nel 1895, data del racconto originale) a muoversi avanti e indietro nel tempo e nello spazio. Chi non conosce questa trama, che oggi viene relegata alle letture per ragazzi, è invitato caldamente a documentarsi: avrà molte sorprese... A parte le avventure con gli Eloi e i Morlocchi, vi si trovano ipotesi talmente affascinanti che ne vale veramente la pena!
Ritornando a noi, pensiamo un
poco al tempo ed allo spazio. In questo momento voi state leggendo questo
articolo: il tempo vi scorre sotto gli occhi, perché sta passando mano a mano
che voi leggete. Quello che avete letto è già passato, ciò che state leggendo è
una frazione del presente, che è subito passato; e quello che dovete ancora
leggere, pur presente già sulla carta, è per voi un futuro, che al momento
stesso in cui lo leggete diventa presente ed immediatamente passato.
Ora immaginiamo di essere sulla
Luna…
Con potenti telescopi gli
scienziati stanno esaminando la Terra. Esaminano proprio voi, la vostra schiena
china su quanto state leggendo in questo momento. Bene! La vostra immagine
arriverà lassù dopo 1,2 secondi (è questo il tempo che occorre alla luce per il
percorso Terra-Luna). Loro vedranno che state leggendo quello che voi avete già
letto. Ora pensiamo la stessa cosa per scienziati su qualche pianeta orbitante
attorno ad una stella lontana 10 anni luce. Essi stanno vedendo proprio voi, vi
vedranno così come eravate esattamente 10 anni fa; oppure l’immagine di voi,
chini su questa lettura, arriverà lassù solo fra 10 anni.
Andiamo più in là di centinaia o
migliaia d’anni luce. Altri scienziati scruteranno l’universo sottostante o
sovrastante, tanto chissà qual è il sopra ed il sotto, e vedranno la Terra
com’era centinaia o migliaia d’anni fa…, assistendo così di persona ai più
famosi eventi storici e geologici della nostra povera palla fangosa.
Vedete com’è labile il tempo e
com’è strano…! A me personalmente il tempo sembra essere una registrazione, un
filmato che scorre inesorabilmente, dove suoni ed immagini nostre e del nostro
tempo sono già state registrate ed attendono solo di srotolarsi, liberando a
poco a poco eventi già determinati.
Se è vero, come dicono gli
studiosi, che anche i nostri suoni e le nostre immagini si diffondono, ma non
si perdono nello spazio, qualcuno forse potrà vederci e sentirci fra qualche
migliaio d’anni, quando noi e le nostre opere non saranno che polvere.
È dell’agosto del 1982 la notizia di una nave etrusca avvistata sul lago di Bracciano da molti testimoni: questi asseriscono di aver notato la strana imbarcazione dopo che una sottile nebbia si era formata sulle acque del lago.
All’interno di questa strana nebbia è apparsa la nave, per poi scomparire dopo circa trenta secondi. Le persone che hanno assistito, stupite e spaventate, a questo sconcertante ma non isolato fenomeno, affermano d’aver notato altre persone altrettanto stupite ed allibite sull’imbarcazione etrusca. Con ogni probabilità, questo frammento del nostro passato è un presente in qualche meandro dello spazio-tempo e c’è da giurare che, in questo momento, marinai etruschi stanno raccontando ai loro parenti ed amici d’aver visto in mezzo al lago, in una strana nebbia luminosa, alcuni insoliti natanti d’origine sconosciuta…
Se effettivamente impariamo a
considerare il tempo come un filmato sonoro già registrato, questi episodi non
ci devono affatto stupire. Come spesso accade, può essere che questo nastro
ogni tanto “esca” dalle sue guide e formi qualche lieve ondulazione, in un
senso o nell’altro, che permette, includendosi nel nostro binario parallelo, di
recepire qualche visione del passato e del futuro, anche se la seconda
eventualità sembra molto più difficile. Probabilmente, in quest’ultimo caso,
potremmo avere veramente qualche immagine del nostro futuro e di quello della
Terra, inclusi i mezzi tecnologici con cui i nostri pronipoti potranno muoversi
nei cieli e che noi interpretiamo come UFO.
Se poi il nostro film e quello di altri universi, paralleli e contigui, ogni tanto si òndula, potremmo veramente avere scansioni nello spazio-tempo di altre civiltà e, magari, di altri pianeti. Ciò potrebbe spiegare, per assurdo, gli incontri ravvicinati del 3° tipo o le apparizioni di mostri antidiluviani nel nostro continuum spazio-temporale…
Pensateci un po’ e vedrete che,
alla fine, in questi concetti (miei, ma non solo), di assurdo, non c’è poi
tanto…”.
Manoscritto conservato da Emilia
Ventura Balbi
Coordinatrice CUN Liguria –
Genova
Adattamento di G.Pattera
Commissione Scientifica CUN -
Parma