“Solo se sei pronto a considerare possibile l’impossibile,

sei in grado di scoprire qualcosa di nuovo”.

(Johann Wolfgang Goethe)

“L’importante è avere un pensiero indipendente:

non si deve credere, ma capire”

(Hubert Revees)


“L’Uomo è la specie più folle: venera un Dio invisibile e distrugge una Natura visibile. Senza rendersi conto che la Natura che sta distruggendo è quel Dio che sta venerando”

(Hubert Revees)

domenica 6 settembre 2020

RADICALI LIBERI & STRESS QUOTIDIANO

 

                                             di GIORGIO PATTERA

Si deve a M.GOMBERG, agli inizi del ‘900, la dimostrazione che in natura esistono radicali chimici allo stato libero.

Lo studio di queste specie paramagnetiche è rimasto circoscritto per lungo tempo quasi esclusivamente nell’ambito della chimica industriale, fino al momento in cui lo spettrometro ESR (Electron Spin Resonance) o EPR (Electron Paramagnetic Resonance) ne ha consentito l’applicazione anche ai sistemi biologici. 

Da allora le ricerche sugli organismi hanno evidenziato la potenzialità, da parte dei radicali liberi, di provocare alterazioni strutturali e funzionali delle membrane cellulari, grazie anche al fatto che possono agire in tempi brevissimi (nell’ordine dei milli- o nanosecondi) e, inoltre, originare “a cascata” tutta una serie di altri radicali e/o prodotti secondari potenzialmente lesivi. In questo senso le prospettive per il futuro non sono di certo confortanti, in quanto l’immissione nell’uso comune di sempre più numerosi composti chimici di sintesi, per gli scopi più diversi, fa ipotizzare un sensibile incremento delle patologie legate ai radicali liberi tossici.

Ma cosa sono, di preciso, questi così temuti << radicali liberi >>?

Tutta la “materia” (inorganica, organica e vivente) è costituita da atomi [dal greco ἄτομος = non (ulteriormente) divisibile; poi abbiamo visto che non è così…]. Ogni atomo è a sua volta costituito dal nucleo (protoni + = massa con carica positiva) e dagli elettroni (e- = niente massa, solo cariche di segno negativo); il bilanciamento delle cariche di segno opposto fa sì che l’atomo risulti elettricamente neutro e quindi stabile. Negli atomi gli elettroni occupano delle “regioni” chiamate orbitali: ciascun orbitale può, al massimo, contenere due elettroni con spin antiparallelo (= senso di rivoluzione opposto). L’elettrone è “spaiato” quando si trova da solo a occupare un orbitale. Pertanto viene definita radicale libero qualsiasi struttura chimica, dotata di esistenza autonoma, che contenga uno o più elettroni spaiati.

Per lo più le molecole si comportano come <<non-radicali>>, poiché contengono solo elettroni appaiati. Al contrario, quando atomi o molecole o complessi “neutri” perdono o acquistano un singolo elettrone, si trasformano in <<radicali>>. L’energia necessaria alla formazione di questi ultimi può essere fornita da molteplici fattori, sia naturali che artificiali: l’irraggiamento solare (specie quello d’alta montagna, ricco di ultravioletto, così come lo sono le “lampade abbronzanti”), le fonti di calore (infrarosso), l’esposizione prolungata alle specie reattive contenute nell’inquinamento atmosferico (ozono, ossido di azoto, ecc.).


Lo schema elementare della formazione di radicali liberi a partire da una molecola biatomica A°°B lo si può rilevare dalla fig.1. La scissione del legame chimico covalente formato da un doppietto di elettroni (indicati con i due pallini) può avvenire in due modi: a) entrambi gli elettroni rimangono associati ad uno dei due atomi = si formano due ioni aventi carica elettrica opposta (scissione eterolitica); b) i due elettroni del doppietto rimangono associati uno all’atomo A e l’altro all’atomo B = formazione di due radicali liberi (scissione omolitica). 

 


E’ la presenza dell’elettrone spaiato, dunque, che conferisce ai radicali liberi la loro spiccata reattività, che si può esplicare in vari modi. Nel peggiore dei casi essi tendono a reagire con le altre molecole non radicaliche (di per sé non nocive) per dare origine a nuovi radicali, sia per riduzione (trasferendo l’elettrone spaiato sulla molecola “neutra”) che per ossidazione (“strappandole” un elettrone), per la serie: un radicale ne genera un altro. Su questa “reazione a catena” possono influire, accelerandola o inibendola, diversi fattori: le basse temperature tendono ad “ingabbiare” i radicali liberi, mentre (come abbiamo visto) le radiazioni termiche e luminose (infrarosso ed ultravioletto), le sorgenti di perossidi (acqua ossigenata, quella ben conosciuta dai parrucchieri) ed i composti azotati (derivati dai processi di combustione e presenti nell’inquinamento atmosferico) sono in grado accelerare la reazione.

RADICALI LIBERI & SISTEMI BIOLOGICI

Negli organismi si trovano radicali liberi di origine endogena (piccole quantità di r.l. vengono continuamente generate come risultato del metabolismo) e di origine esogena (provenienti da alimenti, farmaci, cosmetici e sostanze varie disperse nell’ambiente). In condizioni normali i r.l. endogeni vengono neutralizzati dai meccanismi fisiologici operanti a livello cellulare: ad es., il tocoferolo (Vit. E, contenuta nelle verdure), il β-carotene (provitamina A, di cui sono ricche le carote) e l’acido ascorbico (= anti-scorbuto * : Vit.  C, presente negli agrumi) sono dotati di energiche proprietà antiossidanti.


Le ricerche sui radicali liberi in campo biomedico investono attualmente un gran numero di argomenti. Non essendo possibile, in questa sede, affrontarli tutti (nemmeno sommariamente), ci limiteremo a riassumere alcune fra le più significative conoscenze sul ruolo svolto dai r.l. nell’invecchiamento, nelle modificazioni patologiche delle membrane cellulari e in alcuni aspetti della biologia dei tumori.

I) INVECCHIAMENTO – Il chimico Denham Harman (premio Nobel 1995) fu il primo nel 1956 a mettere in correlazione il processo di senescenza (specie a carico degli organi ad elevato metabolismo aerobio, quali cervello, fegato e cuore) con l’attività dei r.l.. L’invecchiamento, quindi, è caratterizzato dalla presenza nelle cellule di particolari sostanze (pigmenti fluorescenti) denominate lipofuscine e ceroidi; tali sostanze sono liposolubili, si accumulano cioè negli strati adiposi dell’organismo e risultano facilmente attaccabili dalla perossidazione indotta dai r.l..

A dimostrazione della responsabilità dei grassi nei processi d’invecchiamento, sono stati condotti vari esperimenti sui ratti. Uno di questi è consistito nel ridurre l’apporto calorico nella dieta fino al 46% (com’è noto, una dieta ipercalorica porta all’accumulo di grassi), ottenendo un sensibile aumento della longevità negli animali da laboratorio. Inoltre i ratti alimentati con proteine di origine vegetale (soia) hanno mostrato una durata della vita più lunga del 13% rispetto a quella dei “colleghi” alimentati con proteine di origine animale (caseina). Questo perché la caseina ha un contenuto di aminoacidi facilmente ossidabili più elevato rispetto alla soia e quindi maggiormente attaccabili dai radicali.

Si è registrato infine che, aggiungendo alla dieta sostanze antiossidanti (es. 2-mercaptoetilamina), la durata della vita ha raggiunto un incremento medio del 28%, con punte del 31%: questo a dimostrazione, se mai fosse necessario, di quanto siano deleteri per l’organismo i processi di ossidazione indotti dai radicali liberi.

II) DANNI CELLULARI – Per esemplificare le patologie cellulari operate dai radicali liberi, citiamo gli studi effettuati sul tetracloruro di carbonio (CCl4), solvente organico non infiammabile, ampiamente usato per diluire cere e vernici, nonché come agente estintore. Penetra nell’organismo per inalazione, attraverso la pelle e le mucose; è molto tossico: la dose letale per via orale, per un adulto, è di 3-5 ml. Colpisce tutte le cellule dell’organismo, ma in particolar modo quelle del fegato: già dopo 1-2 ore dalla contaminazione, il tessuto epatico presenta al microscopio elettronico danni diffusi alla propria struttura, accompagnati da alterazioni della funzionalità. Sembra che l’azione tossica del CCl4 sia da imputarsi non tanto alla molecola come tale, ma alla modificazione che subisce all’interno della cellula epatica. Perdendo un atomo di cloro, si trasforma in triclorometano (°CCl3): quest’ultimo è un radicale libero biologicamente attivo e, come si vede, altamente pericoloso.


III) NEOPLASIE – L’ipotesi seguita dai ricercatori per poter correlare le patologie tumorali con l’intervento di radicali liberi, diversi da quelli che si osservano nei rispettivi tessuti normali, si appoggia sul fatto che: a) le radiazioni ionizzanti U.V. sono cancerogene e, come s’è detto, inducono la formazione di r.l.; b) il fumo del tabacco, anch’esso cancerogeno, è ricco di r.l.; c) diversi agenti chimici cancerogeni (ad es. il citato CCl4) devono subire modificazioni molecolari per diventare biologicamente attivi. Ebbene, numerosi radicali liberi possiedono elevata reattività chimica e pertanto potrebbero essere implicati nell’attivazione delle sostanze potenzialmente cancerogene.

Recenti studi sostengono l’intervento di reazioni radicaliche sia nella fase d’inizio (mutazioni a carico del normale materiale genetico) che in quella di progressione del processo neoplastico. Indagini su idrocarburi aromatici policiclici, cancerogeni e non, disciolti in solventi organici hanno mostrato concentrazioni di r.l. molto più elevate nei primi che nei secondi. Resta da verificare, ora, la ripetitività delle medesime concentrazioni anche in vivo.

In ogni caso, è stato accertato che la somministrazione di antiossidanti (N-acetil-L-cisteina) esplica una marcata azione preventiva nei confronti della formazione di neoplasie e serve a ritardare (se non addirittura sopprimere), nei roditori, l’evoluzione di tumori già in atto.

A questo punto, anche se saremo accusati di retorica, non si può far a meno di sottolineare la considerazione (dal gusto un po’ amaro) che il progresso tecnologico, se da un lato aggiunge benessere alla nostra esistenza quotidiana, dall’altro ci contorna inesorabilmente di molecole nuove, prodotti di sintesi di cui conosciamo solo i vantaggi a breve termine, ma non le potenziali ricadute negative sulla nostra futura integrità biologica.

Bene, finora abbiamo parlato di potenziali “nemici” per la nostra salute. Andiamo a conoscere adesso qualcuno degli “amici” sicuri che la Natura, nella sua infinita saggezza, ha predisposto per l’Uomo.

Perché parlare di “amici” e non di farmaci ? La medicina allopatica (detta anche “ufficiale” o, per chi ci legge, “occidentale”) spesso si limita a combattere i sintomi della malattia (che sono il “biglietto da visita” di un malessere, le scorie di un processo biochimico endogeno non ortodosso) e quasi sempre lo fa introducendo nel paziente altri prodotti chimici, per lo più estranei all’organismo. E’ vero che, fortunatamente, quasi sempre si ottiene l’effetto desiderato (quello cioè della scomparsa o della riduzione della sintomatologia), ma è anche vero che non sempre si riesce a porre rimedio alla causa della malattia. In ogni caso, si costringe in seguito l’organismo a “ripulirsi” di tutte quelle sostanze che, non essendo biologicamente “riconosciute”, non possono essere completamente metabolizzate e quindi devono essere espulse come “ospiti non graditi”. Bell’aiuto che si dà ad un convalescente !   

MECCANISMI NATURALI DI PREVENZIONE

E DI AUTO – RIPARAZIONE

Come abbiamo avuto modo di vedere, il danno provocato nei sistemi biologici dai radicali liberi si esplica soprattutto con l’immissione in circolo di molecole elettricamente instabili, vale a dire “ossidanti”. Per contrastare le quali, come dice il termine stesso, occorreranno degli anti-ossidanti; che potranno essere prodotti chimici di derivazione naturale o di sintesi, da acquistare in farmacia (o profumeria, per quanto concerne la cosmesi). Ma, a parte il discorso economico spesso non trascurabile, se vogliamo dar credito al vecchio detto (ora resuscitato da una nota casa di dentifricio) <<meglio prevenire che curare>>, è possibile limitare, se non annullare, i danni dei radicali liberi nel nostro organismo, osservando alcune semplici regole dietetiche. Per seguire le quali dobbiamo trasferirci nella più completa farmacia che esista al mondo, quella della Natura, muniti non di ricetta medica, ma di tanta umiltà e del desiderio di conoscere ed apprezzare i suoi rimedi.

Abbiamo già accennato ad alcune vitamine dal potere antiossidante (la E, la pro-A e la C); ma vogliamo parlare anche di quelle sostanze meno conosciute, ma non per questo meno importanti, che si trovano ugualmente in natura e che rispondono al nome di flavonoidi. Si tratta di pigmenti gialli (dal latino flavus = biondo, color oro) abbondantemente diffusi nei vegetali, tra i primi ad essere impiegati in Europa come coloranti. Si trovano quasi esclusivamente nelle piante superiori (rari nelle crittogame) e non sono in grado di essere sintetizzati dagli organismi animali, per i quali l’unico apporto è costituito dalla dieta. Come gli alcaloidi, sono molto frequenti negli alimenti di origine vegetale, ma per fortuna, a differenza di questi ultimi, molto raramente risultano tossici. Importanti per il metabolismo degli animali e dell’uomo sono alcuni flavonoidi, come la rutina (cosiddetta perché isolata per la prima volta dalla Ruta graveolens, con cui si usa aromatizzare la grappa, ma normalmente contenuta anche nella scorza del limone) e la quercetina (presente nelle querce).

Nel 1936 Szent-Györgyi (Nobel per la Medicina e la Fisiologia nel 1937) isolò da alcune specie di Capsicum (peperoncino) e di Citrus (agrumi) una sostanza, la citrina, che chiamarono Vitamina P o <<della permeabilità capillare>>. Risultò in seguito che tale sostanza era costituita in realtà da una mescolanza di flavonoidi, ma la dizione di Vitamina P, ormai entrata nell’uso comune, rimase. Anche perché la sua importanza resta legata alla proprietà (oltre quella antinfiammatoria ed antiallergica) di aumentare la resistenza delle pareti dei capillari sanguigni e quindi di opporsi alla loro rottura, specie nei casi di aumentata fragilità, quali si possono osservare nelle ipertensioni, nel diabete, nelle nefriti, ecc.

Si attribuisce ai flavonoidi, inoltre, un’azione sullo sviluppo genitale ed una blanda attività come estrogeni: negli organismi giovani, infatti, queste sostanze si rinvengono nel timo e perciò si ritiene possibile la correlazione fra la loro presenza e l’atrofia della suddetta ghiandola, con l’avvento della pubertà.

CONCLUSIONI

Al termine di tutta questa dissertazione, la domanda sorge spontanea: cosa si deve fare per vivere meglio e (se possibile) più a lungo ? Anche la risposta sorge spontanea e lo facciamo parafrasando un noto spot televisivo: seguire la Natura. Questo, ovviamente, onorando il vecchio adagio <<si fa come si può e non come si vuole>>, nel senso che la tendenza ad un’alimentazione il più possibile naturale non deve tradursi in psicosi maniacale, a tutto danno della psiche: <<Est modus in rebus>> !

Vediamo in tal senso di riassumere i concetti fondamentali già esposti:

1)            – Adeguare l’apporto calorico della dieta in funzione dell’attività psico-fisica di ognuno: un eccesso di calorie conduce all’accumulo di grassi, facilmente attaccabili dai radicali liberi;

2)            – Preferire, ove possibile, l’assunzione di proteine derivate da alimenti di origine vegetale rispetto a quelle di origine animale (es. soia, che contiene meno aminoacidi facilmente ossidabili);

3)            – Abbondare, se non esistono controindicazioni, nell’assunzione di frutta e verdure crude (il processo di cottura, in genere, ne diminuisce o distrugge le proprietà), entrambe contenenti vitamine dotate di attività antiossidante;

4)            – Controllare l’esposizione alle radiazioni solari ed agli agenti atmosferici aggressivi (specie quelli relativi a condizioni estreme, alta montagna o mare aperto), interponendo filtri protettivi ad alta schermatura e limitando al massimo le lunghe permanenze;

5)            – Evitare il contatto con fonti di radicali liberi dichiarati, tipo quelli presi in esame: acqua ossigenata, solventi (es. CCl4), idrocarburi, fumo del tabacco, ecc.


 = Lo scorbuto, oggi praticamente scomparso, era la tipica (ed inevitabile) malattia che colpiva gli equipaggi delle navi, costretti a lunghe permanenze in mare senza la possibilità di approvvigionarsi di frutta e verdure fresche. Una volta individuata la causa della malattia (avitaminosi = carenza di Vit. C), il problema fu superato, imbarcando alla partenza sufficienti scorte di agrumi.

   

UN “CAPPELLO” INQUIETANTE…

di GIORGIO PATTERA   Il quotidiano “ LA GAZZETTA DI PARMA ” del 15 gennaio 1990 postava un breve ma intrigante trafiletto (integralmente r...